lontano_lontano: (Hetalia Love)
[personal profile] lontano_lontano
Titolo: A wish for something more
Prompt: pacchetto vario #2, altalena.
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Luise (fem!Germania), Feliciano (Italia), Julchen (fem!Prussia), Sophia (fem!Austria), Lavinia (fem!Romano), Antonio (Spagna), Francis (Francia), Gary (male!Ungheria), vari ed eventuali - in questo capitolo: Feliciano, Lavinia, Antonio, Julchen, Gary, mr. Vargas, menzione di Sophia - oh. E un personaggio che c'era anche prima, ma nemmeno l'autrice se n'era accorta: Matthew! :D
Rating: PG
Conteggio parole: 3189 (fdp)
Genere: fluff, romantico
Avvertenze: Gakuen AU, genderbend di molti personaggi, praticamente solo coppie eterosessuali
Riassunto: Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo frequentato anche dalla sorella più grande, che, al contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma poi... arriva Feliciano!
Beta: [livejournal.com profile] yuki_delleran
Note: partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su [livejournal.com profile] hetafic_it // il titolo viene da una canzone di Amy MacDonald, qui il testo. L'ho sempre associata alla GerIta :D




“Papà, papà~ Sì, sì, va tutto benissimo!”
Feliciano si dondolava allegramente sull'altalena, i piedi che scalciavano la neve che ricopriva il terreno ogni volta che vi arrivava vicino.
“Ve, sì, sta bene anche lei! E' qui con Antonio!”
Si voltò verso Lavinia, seduta sulle ginocchia dell'altro ragazzo, che si dondolava pigramente sull'altalena a fianco di quella di Feliciano. Senza ragione, Lavinia fece una linguaccia al fratello: non le piaceva sentir parlare di lei al telefono, visto che non sapeva cosa stesse dicendo suo padre, e che non si fidava delle risposte che poteva dare suo fratello.
“Abbastanza freddo, sì... gli esami benino. No, letteratura è andato bene... è matematica che è difficile... ah, ma ho studiato insieme a Luise, sai! Mi ha aiutato un sacco! Anche se non mi ha fatto copiare, all'esame, poi, uff...” Feliciano fece il broncio, lanciando un'occhiata depressa alla sorella che lo guardava con aria di trionfante cattiveria: gliel'aveva detto, lei, che quella Luise era una stronza.
“Ma sì, Luise, papà... la mia amica... no, non quella riccia... quella bionda, alta. Sì, quella dello schiaffo. Ma no, non è cattiva... oi!” cambiò lato del telefono, mentre con la manica del cappotto si asciugava il viso dalla palla di neve tiratagli da Lavinia.
“Beh, sì, è molto carina... è proprio bella, anzi. E' alta ed ha delle gambe lunghissime, bianche bianche. ...lo so perché gioca a pallavolo! I pantaloncini dell'uniforme sono corti corti!” Feliciano gesticolava allegramente, tutto preso a cantare le lodi del corpo di Luise, le mani che, praticamente, ne riproducevano le forme nell'aria. “La maglietta che usano è larga, però Luise ha un seno molto grande e questo la rende ancora più sexy e... ahiaaaa!!!” una seconda palla di neve, più grossa, stavolta, lo aveva colpito sul naso.
“Ma perché devo stare qui a congelarmi il culo mentre tu canti le lodi di quella spilungona frigida, si può sapere?!”
“A me sembra molto romantico, Lavinia...” disse Antonio, gli occhi verdi sognanti mentre osservava la sua ragazza digrignare i denti nei confronti del fratello.
“Che poi, con tutti i complimenti che fai a quella patata lessa, perché non puoi farne anche a me, eh? Non ti ho mai sentito una volta, una, dico, dirmi che ho delle belle gambe o che una maglietta sportiva mi rende sexy!!!”
“M-ma sorellona, tu...” Feliciano annaspò – non che pensasse che Lavinia non fosse carina, ma.. ma.. “...hai Antonio, a farteli, i complimenti!”
La ragazza fulminò con lo sguardo prima il fratello e poi il fidanzato.
“Crepate tutti e due.” commentò acida, girando i tacchi e andandosene.
“Eeeeh? Ma Laviniaaa!” Antonio le corse dietro.
Per quanto riguardava il ragazzo, avrebbe passato la vita a riempire l'italiana di complimenti. Peccato che sarebbe stata una vita decisamente breve.

“...ah, no, niente, papà, è che Lavinia se l'è un po' presa. Non so perché, ma Luise non le sta molto simpatica. Vabbeh che a sentire lei nemmeno Antonio le sta simpatico, eheh. Oh? No, mi ha detto che tornano in Germania, per Natale. ...eh, lo so. Avrei voluto farle assaggiare il panettone, ve~”
Rimase a dondolarsi da solo sull'altalena, disegnando piccoli cuori nella neve con la punta degli stivali.
“Non lo so, papà, è piuttosto severa, sai? Fa un po' paura, a volte. Però quando arrossisce perché si imbarazza o perché è molto arrabbiata è proprio carina, sì! ...ma no, io credo che sia timida. L'altro giorno le avevo fatto notare che sarebbe stata molto bene, se si fosse lasciata crescere i capelli... sì, li aveva corti corti all'inizio dell'anno, ma poi le stavano ricrescendo... beh, il giorno dopo se li è tagliati di nuovo.” Le labbra di Feliciano si piegarono all'ingiù. Poteva solo immaginarsi quanto bella sarebbe stata, Luise, con quei capelli dorati ad incorniciarle le guance bianche e rosse.
“Ma è carina anche così, sai? Proprio tanto.” tornò a sorridere, Feliciano, cancellando i piccoli cuori che aveva tracciato per farne uno più grande.
Luise era bella, e lui non poteva dirglielo perché lei si arrabbiava. Come Lavinia.

~*~

La neve cadeva a falde larghe nel buio ed il silenzio della nevicata copriva anche gli stentati cigolii dell'altalena, che dondolava su e giù mestamente, spinta dalle lunghe gambe della ragazza che vi stava seduta sopra.
La testa, ben coperta da un berretto di lana bianco calato sulle orecchie, era appoggiata ad una delle catene, i lunghi capelli candidi sciolti e disordinati che si confondevano con la sciarpa, il cappuccio del cappotto e la neve che li ricopriva.
Julchen si dondolava lentamente, le punte degli stivali alti fino al ginocchio che rimestavano nella neve e la mente che rivangava il passato, i ricordi in bianco e nero, come i fiocchi che si stagliavano contro il cielo scuro della sera.

L'indomani sarebbero iniziate le vacanze di Natale del suo ultimo anno di superiori, e poteva quasi sentire i mesi che la separavano dalla fine della scuola scivolare via dalle dita come se fosse già arrivata l'estate.
Ricordava bene – e si stupiva al pensiero, oh, sì – di come fossero diverse le cose due anni prima.
Due anni prima, quando la scuola era iniziata da pochi mesi e quando il suo migliore amico era proprio quel Gary che adesso si sarebbe quasi vergognato ad essere visto in sua compagnia.

Gary era una vera e propria peste, all'inizio del primo anno, Julchen se lo ricordava bene; ne avevano combinate parecchie, assieme.
Aveva questa immagine vivida di lui, il codino riccio spettinato, l'uniforme sporca di terra e di brandelli di foglie autunnali, che le sorrideva con fare cospiratore e birichino, mentre insieme preparavano un dispetto ai danni di qualche altro compagno di scuola.
A Julchen quell'immagine scaldava il cuore. Al tempo, non avrebbe fatto a cambio con nessun altro: in punizione assieme a Gary, certo non pensava ai rimproveri di suo padre o alle facce severe dei professori.
E poi... sì, proprio durante una di queste punizioni... si erano seduti vicini, e nel corridoio era già stato appeso il vischio natalizio che decorava tutti gli ambienti comuni dell'accademia. Si erano guardati con aria furba, ridendo di quanto fosse stupida la storia del vischio, che solo le femminucce inutili potevano provare gusto a sbaciucchiarsi (bleah!) sotto dei ramoscelli verdi, e che comunque nessuno aveva davvero bisogno di innamorarsi, soprattutto non a Natale, quando chiunque ne aveva abbastanza di pensare ai regali ed ai dolci.
Così, sempre per gioco, proprio per dimostrarsi l'un l'altra l'inutilità di quel gesto, si erano dati un bacio. Si erano appena sfiorati le labbra, Julchen lo sapeva, eppure nella sua memoria quei pochi secondi risultavano dilatati. Sì, lo sapeva che era durato il tempo di un soffio, che subito si erano staccati ridendo e dicendo che i baci erano una cosa inutile e che non potevano proprio capire perché mai tutti i loro compagni più grandi fossero così presi da quella attività così stupida.
Eppure, Julchen si ricordava anche che quella sera stessa, dopo essere andata a letto, non era riuscita a chiudere occhio, il cuore che le martellava nelle orecchie ed il viso in fiamme. Aveva deciso che il giorno dopo si sarebbe vendicata di Gary, che sicuramente le doveva aver passato il raffreddore o l'influenza... baci, che cosa pericolosa!
Ma il giorno dopo, quando aveva visto Gary, era diventata tutta rossa e non gli aveva quasi rivolto la parola. Una brutta influenza davvero, aveva pensato.

E poi, c'era stato il concerto di Natale.
Molti degli studenti avevano preparato qualcosa. Julchen si ricordava appena di Antonio, che si era presentato con un gruppo rock dove suonava la sua fidata chitarra. Si ricordava a stento perfino della bella poesia che Francis aveva recitato, tutto elegante ed appassionato, solo sotto i riflettori del palco.
Si ricordava invece molto bene del brano di chiusura del concerto, sì, fin troppo bene. Sophia era salita sul palco con un abito da sera lungo, blu notte, lo sguardo algido dietro gli occhiali sottili, i lunghissimi capelli trattenuti sulla nuca da un fermaglio scintillante, ed aveva messo le dita sul pianoforte.
Non ricordava molto di quello che aveva suonato – una delle sue solite, pallosissime musiche, buone solo a far addormentare la sala dell'auditorium – ma ricordava con troppa precisione l'espressione rapita di Gary che, seduto accanto a lei, stava ad ascoltare e non riusciva a distogliere i suoi occhi smeraldo dalle mani bianche della pianista.

In seguito, il Gary che Julchen aveva conosciuto era semplicemente scomparso. Piano piano, aveva lasciato spazio al ragazzo composto ed educato, sempre pronto a porgere la mano quella smorfiosa di Sophia, sempre attento a sbrodolarle addosso complimenti, premuroso di spargere petali di fiori dove passava, ansioso di seguirla fin sulla porta del bagno ...scodinzolante come un cagnolino idiota!, pensò Julchen dando un calcio rabbioso alla neve.

Chiuse gli occhi, stanca. Certo, poi erano arrivati Francis ed Antonio. Erano già molto legati, quei due matti, eppure l'avevano accolta con generosità ed allegria. Erano i suoi migliori amici, entrambi alla pari, e Julchen sola sapeva quanto doveva loro. Nessuno dei due, non Antonio con il suo amore fedele per Lavinia, non Francis con le sue passioni passeggere anche se brucianti, le aveva mai voltato le spalle o l'aveva lasciata mai in disparte per rincorrere qualcuna. Eppure, con nessuno di loro due si era mai scambiata un bacio, per gioco, sotto il vischio.
Julchen sentì le sue labbra protendersi pericolosamente all'ingiù, e ricacciò indietro con rabbia un accenno di lacrime. Odiava il vischio, se avesse potuto avrebbe dato fuoco a tutti quegli odiosi rametti che anche adesso-

La palla di neve gelata che la colpì sulla nuca le tolse il fiato e la risvegliò brutalmente dalle spirali tetre dei suoi pensieri.
“Oh oh oh, ma guarda chi si vede! Colta di sorpresa, eh? Incredibile!” qualcuno la canzonò, appena fuori dal cono di luce del lampione.
Julchen si voltò con una luce omicida negli occhi.
“Idiota!” sibilò.
Gary apparve nel cerchio di neve gialla, illuminata, passandosi tra le mani un'altra palla di neve.
“Buon Natale anche a te, sì.” rispose lui con fare condiscendente.
Insofferente – non era certo lì per subire gli sbeffeggiamenti di quel cretino, oh no! - Julchen si alzò di scatto dall'altalena e si avviò a passi veloci verso il dormitorio.
Gary, che si aspettava una risposta a tono, venne preso in contropiede da quella fuga inattesa.
“Ehi, aspetta!” esclamò, poco convinto, seguendola.
Un attimo, e il tutto si era trasformato in un inseguimento, con Julchen che tentava di distanziare Gary, contando sulle sue lunghe gambe atletiche, ma ostacolata dalla neve fresca che le rallentava il passo. Il ragazzo, da parte sua, tentava disperatamente di raggiungerla, ma il terreno era scivoloso e, per quanto tentasse di approfittare delle impronte lasciate da Julchen nella neve, la ragazza era sempre davanti a lui.
In poco tempo, entrambi si ritrovavano con i polmoni in fiamme, le nuvolette di fiato che uscivano dalle loro bocche con ritmo convulso.
Julchen si fermò, decisa a mettere fine a quell'inutile e ridicola maratona.
“Che cosa vuoi da me, si può sapere? Che c'è, Vostra Signoria puzza-sotto-il-naso Edelstein ti ha dato una serata di libera uscita e non hai niente di meglio da fare che venire ad inzupparmi di neve?!” ansimò, arrabbiata. Aveva il viso e la frangia tutti bagnati, ma sapeva di avere le guance rosse di rabbia e sforzo.
Gary ci mise un po' a risponderle, mentre prendeva fiato a fatica.
“Beh, nemmeno tu hai nulla di meglio da fare che startene seduta tutta sola su una panchina in mezzo al parco, o sbaglio? Venivo a tenerti compagnia!”
Julchen ghignò. La stava prendendo in giro?
“Tesoro, difficilmente posso trovare compagnia migliore di me stessa, capito?”
Gary si passò un guanto sulla faccia, scuotendosi via dai riccioli la neve che vi si era depositata.
“Capisco fin troppo bene...” borbottò, riprendendo lentamente ad avanzare verso di lei.
Per un momento, Julchen fu tentata di voltarsi e tornare a scappare, ma decise che non valeva la pena di sprecare così le sue energie. Con una mossa decisa del capo, si scostò dal viso le ciocche di capelli bagnate.
“Comunque, ero venuto per salutarti e per augurarti buon Natale.” disse lui, scontroso.
Julchen fu presa in contropiede, ma il tono della sua risposta fu di nuovo tra l'ironico e l'acido. “E per regalarmi un bel po' di neve ghiacciata giù per la schiena? Grazie, ma che pensiero gentile!”
Gary scrollò le spalle, uno sguardo corrucciato ed accusatore. Sembrava stare prendendo fiato per una nuova rincorsa. “Avresti reagito meglio se mi fossi avvicinato per abbracciarti?” la attaccò alla fine "Non pensi che a te stessa, nelle tue manie di onnipotenza egocentrica! E' sempre... sempre così, Julchen! Perché non ti curi mai delle ragioni degli altri?" Gary sembrava arrabbiato. Non la guardava più in viso, adesso, stava guardando la neve ai suoi piedi, e stringeva i pugni.
"Non so più come approcciarmi a te, maledizione. Una volta ti avrei abbracciato e augurato buon Natale, ed adesso... sì, non so come altro fare se non tirarti delle palle di neve a sorpresa, bella roba! Mi fai tornare infantile e dispettoso, ecco! Ma che cosa spero di cambiare, con questa tirata, eh?" Con rabbia, gettò a terra la palla di neve che aveva ancora in mano, poi, improvvisamente, girò i tacchi e se ne andò.
Julchen osservò il tutto basita.
Infantile e dispettoso, eh?
Lanciarle una palla di neve così, all'improvviso... già. Era qualcosa che il Gary dei primi mesi, forse, avrebbe fatto. Julchen non si sarebbe arrabbiata, in quel caso, no, sarebbe scattata in piedi e, ridacchiando come una forsennata, avrebbe solo pensato a vendicarsi. In breve, si sarebbero ritrovati a rotolarsi come due stupidi nella coltre gelida, incuranti di sciarpe e pantaloni bagnati. Sicuramente, nessuno di questi comportamenti si confaceva alla nuova identità di Gary, lacchè di sua signoria imperiale la principessina dei pianoforti.

Julchen si mosse e lo rincorse.

Fatti pochi passi, gli era già alle spalle, e gli afferrava un braccio per costringerlo a voltarsi. I loro visi erano vicini, ora, le nuvolette del loro fiato che si fondevano assieme, creando una strana aura nel buio attorno ai loro profili.
"Mi avresti abbracciata e mi avresti augurato buon Natale, hai detto? Bene, fallo." lo sfidò lei.
Gli occhi verdi di Gary indugiarono un attimo nei suoi, lo sguardo un po' incredulo.
"Che c'è, Vostra Altezza Quattrocchi vi ha risucchiato ogni capacità di relazionarsi umanamente alle altre persone?" Julchen roteò gli occhi, e lo strinse a sé. Era... strano ritrovarselo fra le braccia, dopo così tanto tempo. Gary era cresciuto. Aveva delle spalle più larghe, un accenno di barba sul mento, dei capelli ispidi e arruffati per l'umidità.
Julchen non perse tempo e gli sigillò le labbra con le proprie.
Durò più a lungo, questa volta - non era un semplice bacio sotto il vischio, non era il tipo di bacio che Gary potesse dimenticare facilmente, non doveva esserlo, non poteva esserlo, nella mente di Julchen. Doveva essere un bacio di quelli di cui ti rimane il sapore in bocca per la vita, doveva far sciogliere la neve ai loro piedi e riportare il calore dalla punta dei loro nasi congelati a quella delle dita dei piedi, ormai quasi insensibili per il freddo. Un bacio che Gary avrebbe solo potuto sognare, da quel momento in avanti.
Quando le labbra di Julchen si staccarono da quelle del ragazzo, fu un dito coperto di lana gelida e umida a prendere il loro posto.
"Ricordatelo per bene, questo, non troverai altrove labbra magnifiche come le mie." sibilò lei, la voce inaspettatamente calda.
Lo lasciò andare così come l'aveva abbracciato, e tornò sui suoi passi, sparendo in fretta nel buio del parco.


Così sarebbe dovuta andare, decisamente - o almeno, di questo era convinta Julchen, mentre pensava e ripensava all'episodio, tentando di scaldarsi le membra ancora intirizzite sotto il piumino, nel suo letto.
Un bacio da togliere il fiato era quello che quel cretino di Gary si sarebbe meritato, altroché. Ma non era andata così, in realtà.


Julchen si era messo a ricorrerlo, e questa volta, a ruoli invertiti, era stato Gary a scappare. La ragazza, frustrata, si era fermata, aveva raccolto un bel po' di neve e gliel'aveva lanciata, prendendolo in pieno, naturalmente, vista la sua magnifica mira infallibile.
Oh sì, erano tornati ai vecchi tempi, e a modo suo. Sul chi vive, aveva aspettato la risposta di Gary, un suo attacco, ma questo non venne.
Gary si voltò lentamente, ripulendosi la neve di dosso con gesti controllati.
"D'accordo, hai avuto la tua vendetta, siamo pari adesso. Va bene, no? Ora io posso tornare in camera mia a finire le valige, e tu puoi tornare nel tuo magnifico mondo dove vivete tu e la tua magnifica te e pensare a quanto stupidi ed insulsi siano gli altri esseri umani."
La guardò per un lungo istante.
Forse si aspettava che Julchen gli rispondesse a tono, forse che davvero corresse ad abbracciarlo, ma non successe nulla di tutto questo, e Gary tornò a voltarsi. Alla fine, sparì dietro le colonne dell'atrio del dormitorio maschile.
Julchen diede un calcio rabbioso alla neve, sollevando alti spruzzi bianchi.
"Non me ne frega niente nemmeno di vendicarmi di te, brutto idiota! Vai, fa' il facchino per Vossignoria dei vasi da notte finché non ti si spezza la schiena! ...Dummkopf!!!" pestò i piedi nella neve, infuriata e stanca.
Ormai al colmo della sopportazione, si affrettò anche lei verso il portone del suo dormitorio. Si sentiva congelare e bolliva di rabbia allo stesso tempo, in più, poi, gli occhi le stavano lacrimando per il freddo - per il freddo, sì, maledizione, per cos'altro, sennò?! Era certo troppo magnifica per piangere dietro ad un tale cretino.

Nella fretta, finì coll'urtare qualcuno che stava camminando in silenzio a lato del vialetto.
Julchen non si premurò nemmeno di chiedere scusa - ma cos'aveva urtato? Un albero, un cestino? Eppure proprio non l'aveva visto... - salvo poi voltarsi indietro con una vaga sorpresa a sentirsi chiedere scusa da una voce timida, quasi soffocata dalla nevicata.
In effetti, non aveva urtato un tronco né un cestino, ma una persona. Nell'oscurità e nella nevicata, non poteva nemmeno vederlo bene, ed i suoi occhi non si soffermarono su di lui per più di un paio di istanti.

No, non era così che sarebbe dovuta andare a finire. Ma Julchen non aveva saputo trovare altro modo. Proprio come Gary, nemmeno lei sapeva più come avvicinarlo, se non per prendere a male parole lui o la sua padroncina ditine-di-fata. Forse sarebbe bastato un passo in più, un abbraccio e dei semplici auguri di buon Natale, e tutto sarebbe tornato come prima. Ma abbracciarlo sembrava molto più difficile - troppo, come se si fosse scordata di come si faceva.



Mentre Julchen si allontanava in lacrime verso il dormitorio femminile, la figura silenziosa, che, nonostante avesse quasi perso l'equilibrio dopo lo scontro, era passata del tutto inosservata, era poi rimasta a guardare il silenzio la ragazza che entrava nell'edificio sbattendosi il portone alle spalle.
Matthew le aveva chiesto scusa perché, in effetti, non avrebbe proprio dovuto trovarsi a camminare su quel viale, a quell'ora della sera, non avrebbe dovuto assistere a quel litigio e, soprattutto, non avrebbe dovuto intralciare la ritirata della ragazza. Del resto, era abituato a passare inosservato - lei sicuramente non se lo ricordava, ma lui aveva bene in mente tutte le volte in cui quella ragazza dal sorriso smagliante e dai capelli candidi gli era passata accanto di corsa mancandolo per un soffio.

Silenzioso, riprese la sua via verso il dormitorio maschile, pensando che se mai fosse stato così fortunato da incontrare una persona che potesse arrivare a piangere per lui, beh... si sarebbe premurato in ogni modo per far sì che questo non accadesse mai.


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