Verso la terraferma
Jan. 4th, 2012 07:35 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Verso la terraferma
Prompt: pacchetto fantasy, eternità, ali, aria, mare
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Francis/Franica, Alfred/America, Arthur/Inghilterra, Matthew/Canada
Rating: G
Conteggio parole: Eternità: 299 (fdp), Ali: 281 (fdp), Aria: 246 (fdp), Mare: 349 (fdp)
Genere: avventura, fantasy, descrittivo, introspettivo
Avvertenze: AU fantasy, flash-fic
Riassunto: raccolta di flash-fic che narrano piccoli momenti del viaggio dei quattro personaggi dalle Isole del Tramonto al continente.
Note: partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su
hetafic_it // è un altro spin-off/prologo della mia fanfiction Kingdom for a heart. Nessuno sa di cosa sto parlando, in sostanza. Ah.
Eternità
Non avrebbe vissuto in eterno, Francis il mezzelfo, e la cosa certo non lo turbava.
Ogni tanto si chiedeva pure se esistesse un'eternità, se questa non fosse solo una parola, uno di quei termini coniati dagli uomini per indicare concetti astratti ed a loro incomprensibili.
Francis non si curava granché dell'eternità, del per sempre. Il tempo era fatto di momenti, piccoli momenti intrecciati tra loro, che lui amava osservare e vivere, quando ne aveva l'occasione.
Amava meno voltarsi indietro a contarli – erano troppi, un nastro che si dipanava e si perdeva quasi nell'oscurità delle sue prime memorie. Non poteva pensare di averne davanti a sé una altrettanto lunga, una eterna, poi, figuriamoci!
La sua eternità stava nei piccoli istanti, stava nei momenti in cui godeva del calore del sole sulla pelle, del rumore della pioggia sulle fronde degli alberi, delle risate di chi gli stava intorno. Quei momenti erano eterni, per lui, perché si sedimentavano nel suo animo, rimanevano intatti nella sua memoria, costruivano ciò che lui era. Non poteva dimenticarli o fare finta che non fossero accaduti. Erano lì, e lo avrebbero accompagnato fino alla fine.
Sopportare di non poterli rivivere per tutta l'eternità sarebbe stato troppo, per Francis; per questo accettava di buon grado la consapevolezza che la sua fine sarebbe giunta, un giorno.
Non che avesse fretta di andarci incontro, al momento, oh, no. C'era molto da fare: c'era quel mago suscettibile a cui stare accanto, affiancandolo nella sua ricerca, e quei due giovani da tenere d'occhio.
Tanti visi sorridenti, arrabbiati, tristi, che piano piano andavano reclamando sempre più spazio, nel suo cuore, accanto ai ritratti – immobili, ma non sbiaditi – di chi ancora occupava posti importanti, lì dentro. Non voleva pensare al momento in cui a dar forma a quei volti ci sarebbe stato solo il suo ricordo e nient'altro.
Ali
Aveva dovuto per forza arrampicarsi sull'albero maestro, il giovane Alfred, a lasciare che il vento gli strattonasse i capelli e la tunica. Voleva essere tra i primi ad veder comparire la terra all'orizzonte, a gridarlo agli altri sul ponte – come se il continente stesse per apparire più in fretta, ora che Alfred era lì per avvistarlo.
Ma anche se l'orizzonte era sempre un monotono andare e venire di onde blu e di gabbiani, il giovane si sentiva felice.
Starsene lì appollaiato in mezzo al sartiame era come volare, le vele erano le sue ali, ali enormi, candide – le ali del gabbiano più grande che avesse mai volteggiato sul mare.
Che fretta c'era mai di atterrare, con quel vento meraviglioso a gonfiargli le penne, a sostenerlo in quel tragitto senza meta in mezzo al cielo?
Aveva voglia di gridare la sue gioia ed eccitazione al mare, e lo fece, ad un certo punto, la sua voce coperta dallo stridere del sartiame e dalla potenza del vento.
Spalancò le braccia per sbatterle come le ali di un gabbiano, ma per poco non perse l'equilibrio, rischiando di cadere di sotto. Si aggrappò in tutta fretta all'albero, guardando in giù nervosamente, nella speranza che nessuno avesse assistito a questa inusuale mancanza di stile – Arthur, in particolare, non avrebbe apprezzato di vedere il suo giovane cavaliere cercare di ammazzarsi in maniera così poco eroica. Per fortuna, tutti sembravano avere lo sguardo diretto altrove; all'orizzonte, per la precisione.
La terraferma. Alfred non aveva idea di che cosa aspettarsi, una volta arrivati, ma qualsiasi cosa ci fosse ad attenderli, il giovane non vedeva l'ora di scoprirla. Avrebbe avuto occasione di dimostrare il suo valore in suolo straniero, di quello era certo.
Aria
In piedi vicino all'albero maestro, Arthur vigilava tranquillo su quello che accadeva sulla nave. Un vento stabile gonfiava le vele, e naturalmente il mago aveva contribuito a crearlo. Gli spiriti dell'aria erano facili da controllare, in giornate calme e serene come questa: docili, avevano acconsentito volentieri a sospingere l'imbarcazione sul mare. Il vascello era piccolo, leggero; farlo scivolare sulle onde non era poi un grande sforzo per quelle creature agili e sottili, ma dotate di una forza maestosa, quando scatenate dalla furia delle tempeste e degli uragani.
Uno degli spiriti venne a svolazzargli intorno, incuriosito dall'umano che li aveva chiamati a raccolta. Arthur lasciò che gli si avvicinasse, rimanendo fermo immobile, lasciando appena che un sorriso gli increspasse le labbra. Gli piacevano, gli spiriti dell'aria, non erano irritabili come quelli del fuoco né infidi come quelli dell'acqua; tuttavia, non erano nemmeno impassibili come quelli della terra, ed Arthur non voleva rischiare di spaventare il suo nuovo, piccolo amico.
Cautamente, alzò una mano – il palmo in su, per fargli vedere che era vuota – e lo spirito vi si sedette sopra, appagato. Certo non era il primo mago che vedevano navigare in quelle acque.
“Mi state dando un grande aiuto, lo sai? Ve ne sono profondamente grato.” sussurrò il mago. Lo spirito fece una piccola capriola, rotolandogli tra le dita, a cui Arthur rispose con una breve risata, per poi riportare lo sguardo all'orizzonte.
Di questo passo, avrebbero raggiunto la terraferma molto presto, e la loro ricerca sarebbe potuta cominciare.
Mare
Era strano, per Matthew, pensare di aver vissuto per anni su di un'isola eppure sapere così poco del mare. Non lo si vedeva, del resto, dalla rocca dove vivevano. Se ne sentiva l'odore, tuttavia, pregno di umidità e di sale.
Adesso il mare li circondava ovunque, sterminato. Poteva capire, finalmente, i tanti discorsi di marinai ascoltati nelle taverne, i racconti che parlavano dell'immensità del mare, delle onde che potevano facilmente ingoiare anche i velieri più imponenti - figurarsi una singola, piccola, insignificante vita umana.
A Matthew la sensazione piaceva, in fondo: era abituato a sentirsi un nulla, un accidente contro cui la gente finiva con lo scontrarsi perché non lo notava. La consapevolezza di non essere che un minuscolo granello di vita in mezzo alla distesa di acqua gelida gli era famigliare, come sentimento, in fondo.
Egoisticamente, si sentiva quasi confortato: non era solo lui, questa volta, l'essere insignificante; tutti su quella nave lo erano, a partire da suo fratello per arrivare poi sia ad Arthur che a Francis stesso.
Subito si sentì cattivo ad aver fatto quel genere di pensieri, certo non augurava a nessuno dei suoi compagni di sparire, né inghiottito dai flutti marini ...né tantomeno di essere quasi invisibile, come lui.
Guardò verso l'orizzonte, chiedendosi se qualcosa sarebbe cambiato, una volta sulla terraferma. Non che ci sperasse troppo, tuttavia – del resto, che cosa avrebbe fatto se il resto del mondo avesse iniziato a notarlo?
Matthew ridacchiò, conscio che nessuno lo stava guardando, e poteva quindi permettersi quei piccoli lussi come il ridere da solo. Forse non sarebbe cambiato, ma il mondo attorno a lui sì, e Matthew era curioso di fare da osservatore silenzioso in un posto nuovo, diverso.
Da lontano, Francis lo osservava. Non aveva l'abilità di predire il futuro, naturalmente, ma aveva abbastanza esperienza per poter tirare ad indovinare con una certa sicurezza.
Matthew sarebbe cambiato, il mezzelfo lo sapeva, e si chiedeva anche se il giovane avrebbe mai fatto ritorno alle isole, una volta messo piede sulla terraferma.
Sorrise tra sé e sé, riscoprendosi eccitato all'idea dell'avventura che li attendeva come non lo era da decenni – da secoli, anzi.
Prompt: pacchetto fantasy, eternità, ali, aria, mare
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Francis/Franica, Alfred/America, Arthur/Inghilterra, Matthew/Canada
Rating: G
Conteggio parole: Eternità: 299 (fdp), Ali: 281 (fdp), Aria: 246 (fdp), Mare: 349 (fdp)
Genere: avventura, fantasy, descrittivo, introspettivo
Avvertenze: AU fantasy, flash-fic
Riassunto: raccolta di flash-fic che narrano piccoli momenti del viaggio dei quattro personaggi dalle Isole del Tramonto al continente.
Note: partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su
![[info]](https://lontano-lontano.livejournal.com/img/community.gif?v=88.3)
Eternità
Non avrebbe vissuto in eterno, Francis il mezzelfo, e la cosa certo non lo turbava.
Ogni tanto si chiedeva pure se esistesse un'eternità, se questa non fosse solo una parola, uno di quei termini coniati dagli uomini per indicare concetti astratti ed a loro incomprensibili.
Francis non si curava granché dell'eternità, del per sempre. Il tempo era fatto di momenti, piccoli momenti intrecciati tra loro, che lui amava osservare e vivere, quando ne aveva l'occasione.
Amava meno voltarsi indietro a contarli – erano troppi, un nastro che si dipanava e si perdeva quasi nell'oscurità delle sue prime memorie. Non poteva pensare di averne davanti a sé una altrettanto lunga, una eterna, poi, figuriamoci!
La sua eternità stava nei piccoli istanti, stava nei momenti in cui godeva del calore del sole sulla pelle, del rumore della pioggia sulle fronde degli alberi, delle risate di chi gli stava intorno. Quei momenti erano eterni, per lui, perché si sedimentavano nel suo animo, rimanevano intatti nella sua memoria, costruivano ciò che lui era. Non poteva dimenticarli o fare finta che non fossero accaduti. Erano lì, e lo avrebbero accompagnato fino alla fine.
Sopportare di non poterli rivivere per tutta l'eternità sarebbe stato troppo, per Francis; per questo accettava di buon grado la consapevolezza che la sua fine sarebbe giunta, un giorno.
Non che avesse fretta di andarci incontro, al momento, oh, no. C'era molto da fare: c'era quel mago suscettibile a cui stare accanto, affiancandolo nella sua ricerca, e quei due giovani da tenere d'occhio.
Tanti visi sorridenti, arrabbiati, tristi, che piano piano andavano reclamando sempre più spazio, nel suo cuore, accanto ai ritratti – immobili, ma non sbiaditi – di chi ancora occupava posti importanti, lì dentro. Non voleva pensare al momento in cui a dar forma a quei volti ci sarebbe stato solo il suo ricordo e nient'altro.
Ali
Aveva dovuto per forza arrampicarsi sull'albero maestro, il giovane Alfred, a lasciare che il vento gli strattonasse i capelli e la tunica. Voleva essere tra i primi ad veder comparire la terra all'orizzonte, a gridarlo agli altri sul ponte – come se il continente stesse per apparire più in fretta, ora che Alfred era lì per avvistarlo.
Ma anche se l'orizzonte era sempre un monotono andare e venire di onde blu e di gabbiani, il giovane si sentiva felice.
Starsene lì appollaiato in mezzo al sartiame era come volare, le vele erano le sue ali, ali enormi, candide – le ali del gabbiano più grande che avesse mai volteggiato sul mare.
Che fretta c'era mai di atterrare, con quel vento meraviglioso a gonfiargli le penne, a sostenerlo in quel tragitto senza meta in mezzo al cielo?
Aveva voglia di gridare la sue gioia ed eccitazione al mare, e lo fece, ad un certo punto, la sua voce coperta dallo stridere del sartiame e dalla potenza del vento.
Spalancò le braccia per sbatterle come le ali di un gabbiano, ma per poco non perse l'equilibrio, rischiando di cadere di sotto. Si aggrappò in tutta fretta all'albero, guardando in giù nervosamente, nella speranza che nessuno avesse assistito a questa inusuale mancanza di stile – Arthur, in particolare, non avrebbe apprezzato di vedere il suo giovane cavaliere cercare di ammazzarsi in maniera così poco eroica. Per fortuna, tutti sembravano avere lo sguardo diretto altrove; all'orizzonte, per la precisione.
La terraferma. Alfred non aveva idea di che cosa aspettarsi, una volta arrivati, ma qualsiasi cosa ci fosse ad attenderli, il giovane non vedeva l'ora di scoprirla. Avrebbe avuto occasione di dimostrare il suo valore in suolo straniero, di quello era certo.
Aria
In piedi vicino all'albero maestro, Arthur vigilava tranquillo su quello che accadeva sulla nave. Un vento stabile gonfiava le vele, e naturalmente il mago aveva contribuito a crearlo. Gli spiriti dell'aria erano facili da controllare, in giornate calme e serene come questa: docili, avevano acconsentito volentieri a sospingere l'imbarcazione sul mare. Il vascello era piccolo, leggero; farlo scivolare sulle onde non era poi un grande sforzo per quelle creature agili e sottili, ma dotate di una forza maestosa, quando scatenate dalla furia delle tempeste e degli uragani.
Uno degli spiriti venne a svolazzargli intorno, incuriosito dall'umano che li aveva chiamati a raccolta. Arthur lasciò che gli si avvicinasse, rimanendo fermo immobile, lasciando appena che un sorriso gli increspasse le labbra. Gli piacevano, gli spiriti dell'aria, non erano irritabili come quelli del fuoco né infidi come quelli dell'acqua; tuttavia, non erano nemmeno impassibili come quelli della terra, ed Arthur non voleva rischiare di spaventare il suo nuovo, piccolo amico.
Cautamente, alzò una mano – il palmo in su, per fargli vedere che era vuota – e lo spirito vi si sedette sopra, appagato. Certo non era il primo mago che vedevano navigare in quelle acque.
“Mi state dando un grande aiuto, lo sai? Ve ne sono profondamente grato.” sussurrò il mago. Lo spirito fece una piccola capriola, rotolandogli tra le dita, a cui Arthur rispose con una breve risata, per poi riportare lo sguardo all'orizzonte.
Di questo passo, avrebbero raggiunto la terraferma molto presto, e la loro ricerca sarebbe potuta cominciare.
Mare
Era strano, per Matthew, pensare di aver vissuto per anni su di un'isola eppure sapere così poco del mare. Non lo si vedeva, del resto, dalla rocca dove vivevano. Se ne sentiva l'odore, tuttavia, pregno di umidità e di sale.
Adesso il mare li circondava ovunque, sterminato. Poteva capire, finalmente, i tanti discorsi di marinai ascoltati nelle taverne, i racconti che parlavano dell'immensità del mare, delle onde che potevano facilmente ingoiare anche i velieri più imponenti - figurarsi una singola, piccola, insignificante vita umana.
A Matthew la sensazione piaceva, in fondo: era abituato a sentirsi un nulla, un accidente contro cui la gente finiva con lo scontrarsi perché non lo notava. La consapevolezza di non essere che un minuscolo granello di vita in mezzo alla distesa di acqua gelida gli era famigliare, come sentimento, in fondo.
Egoisticamente, si sentiva quasi confortato: non era solo lui, questa volta, l'essere insignificante; tutti su quella nave lo erano, a partire da suo fratello per arrivare poi sia ad Arthur che a Francis stesso.
Subito si sentì cattivo ad aver fatto quel genere di pensieri, certo non augurava a nessuno dei suoi compagni di sparire, né inghiottito dai flutti marini ...né tantomeno di essere quasi invisibile, come lui.
Guardò verso l'orizzonte, chiedendosi se qualcosa sarebbe cambiato, una volta sulla terraferma. Non che ci sperasse troppo, tuttavia – del resto, che cosa avrebbe fatto se il resto del mondo avesse iniziato a notarlo?
Matthew ridacchiò, conscio che nessuno lo stava guardando, e poteva quindi permettersi quei piccoli lussi come il ridere da solo. Forse non sarebbe cambiato, ma il mondo attorno a lui sì, e Matthew era curioso di fare da osservatore silenzioso in un posto nuovo, diverso.
Da lontano, Francis lo osservava. Non aveva l'abilità di predire il futuro, naturalmente, ma aveva abbastanza esperienza per poter tirare ad indovinare con una certa sicurezza.
Matthew sarebbe cambiato, il mezzelfo lo sapeva, e si chiedeva anche se il giovane avrebbe mai fatto ritorno alle isole, una volta messo piede sulla terraferma.
Sorrise tra sé e sé, riscoprendosi eccitato all'idea dell'avventura che li attendeva come non lo era da decenni – da secoli, anzi.