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Titolo: Innamorarsi è un po' come cucinare gli spaghetti
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Luise, Feliciano, minori apparizioni di: Julchen, Antonio, Lavinia.
Rating: rosso
Conteggio parole: 7863 (fdp)
Genere: sentimentale, commedia, slice of life
Avvertenze: AU, genderbender, masturbazione e scene lemon
Riassunto: quando la sorella parte per passare un anno all'estero, Luise, studentessa universitaria a Berlino, si vede costretta a condividere il suo appartamento con Feliciano. All'inizio, appare chiaro che la ragazza non riuscirà mai a resistere per un anno nello stesso appartamento con un tipo come lui, ma, man mano che passano i mesi, avrà tutto il tempo per cambiare idea.
Note: partecipa alla sesta settimana del COWT2 @
maridichallenge, prima missione, squadra Magic Sticks, prompt: anno/i.
Purtroppo ho dovuto finire questa storia in fretta e furia - il conto alla rovescia per il postaggio del COWT è sempre una spada di Damocle, ma mi dispiace di non essere riuscita a sviluppare meglio la parte dell'impatto culturale di Berlino su Feliciano. Se avrò tempo, mi piacerebbe riprenderla in mano e farne uscire qualcosa di più articolato.
(Il p0rn c'è perché quello notoriamente si scrive da solo e aumenta il wordcount ù.ù)
Il telefonino vibrava con insistenza sul piano della scrivania. Luise Weilschmidt, intenta a compilare una dettagliata lista dei libri che doveva acquistare per il semestre universitario, gettò all'apparecchio un'occhiata stizzita. Sullo schermo dell'iPhone era apparsa la foto di una ragazza sorridente e con capelli chiarissimi, quasi bianchi. Julchen Weilschmidt (perché Luise salvava sempre i contatti con nome e cognome, anche quando si trattava della propria ed unica sorella).
"Indovina indovinello, sorellina! Ti ho trovato un coinquilino!"
"Oh."
No, Luise non era entusiasta della notizia.
Quando la ragazza che sarebbe dovuta venire a vivere nella stanza della sorella aveva disdetto a causa di motivi famigliari, Luise aveva segretamente tirato un sospiro di sollievo. Era abituata a vivere con sua sorella Julchen da, beh, quando era nata, e quando si era trasferita nel suo appartamento di Berlino per studiare all'università come lei, nonostante Julchen fosse un temperamento estroverso e... rumoroso, beh, Luise si era adeguata alla convivenza.
Quell'anno, però, Julchen lo avrebbe passato all'estero: vincitrice di una borsa di studio per passare due semestri in Canada, la sorella aveva fatto le valigie alla velocità della luce e si era fiondata sul primo aereo, lasciando a Berlino Luise ed una stanza vuota.
Luise sapeva che una stanza vuota significava parte dell'affitto scoperto, ma significava anche pace e tranquillità, cose che lei non disprezzava affatto.
La disdetta della potenziale coinquilina, quindi, l'aveva fatta sperare di un periodo di studio pacifico e di vita dettata dai suoi ritmi soltanto.
A quanto pare, invece, Julchen era riuscita a risolvere il "problema".
"Non ti sento felice. Tsch, lo sapevo, speravi di poterti rinchiudere in casa a fare l'eremita ed a studiare per tutto l'anno, vero? Beh, mi dispiace per te, ma la tua magnifica sorella ti ha trovato compagnia."
Luise non rispose alla provocazione della sorella.
Sì, aveva una predilezione per la solitudine, e allora?
"Chi è?"
"Oh, è il fratello della ragazza di un mio amico. Viene qui per lavorare, non trovava casa e non poteva fare il terzo incomodo a casa loro per sempre, ovviamente... così gli ho detto che c'era camera mia libera, e che anche mia sorella lo era, kesesese!"
"JULCHEN!"
"Scherzo, scherzo!"
"...ma insomma, è un ragazzo?!"
"Ja... che c'è, ti imbarazza? Ho pensato che saresti stata grande abbastanza per tenere a bada un ometto." rispose placida l'altra.
"Julchen! Avremmo dovuto deciderlo insieme, io non so se..."
"Oh. Devo andare." dall'altra parte della linea, c'era un improvviso rumore d'auto. "Credo che arrivi già stasera. Aprigli, eh. Tschüss~"
Prima che Luise potesse replicare qualsiasi cosa, la telefonata era finita.
Verdammt.
ieri sera è arrivato il nuovo coinquilino. Si chiama Feliciano Vargas ed è italiano. Quando gli ho chiesto cos'era venuto a fare qui, ha risposto: "la pizza". Ti pareva.
Parla un pessimo tedesco e ha delle maniere fastidiose. Inoltre, stamattina uscendo ha lasciato le pantofole sparse in ingresso, che quasi ci inciampavo. Quando torna dal lavoro devo proprio parlargli.
questo nuovo coinquilino dorme tutto il giorno e lavora tutta la notte, o qualcosa del genere. So che esiste perché lascia il copri water alzato e si dimentica le tazze nel lavandino. Ieri gli ho lasciato una nota, sul tavolo, ma non è servito a nulla. Credo che usi il fatto di non conoscere il tedesco per giustificarsi delle sue maniere incivili.
Vivere con un uomo è impossibile, io per un anno non resisto.
tutto questo è inammissibile.
Ieri mattina è capitato qualcosa di davvero indecente. Ero rimasta a casa perché non c'era lezione ed ero entrata in bagno per lavarmi il viso. Avevo chiuso la porta, ma non a chiave – maledizione, non mi ero nemmeno accorta che quell'idiota del coinquilino fosse ancora addormentato, era quasi ora di pranzo! Credevo fosse uscito presto!
Ero intenta ad applicare la mia solita maschera idratante, quando ecco che quell'imbecille spalanca al porta senza nemmeno bussare! E pensa come osa presentarsi in bagno, questo: NUDO. Non aveva nemmeno le mutande!!! Se ne stava lì sulla soglia rimbambito e con l'accappatoio in mano. Per fortuna avevo troppa crema in faccia e non potevo tenere gli occhi aperti, quindi non ho visto bene, ma come si è permesso?! Ho urlato così tanto che è tornato di corsa in camera sua e non si è più fatto vedere. La prossima volta saprò difendermi con la lima per le unghie.
Nel momento in cui Feliciano aveva risposto che era venuto a Berlino a fare "la pizza", intendeva in realtà dire che era venuto a lavorare nello stesso ristorante italiano dove lavorava anche sua sorella più grande, Lavinia. Purtroppo, era vero che Feliciano non sapesse bene il tedesco: quel poco che aveva imparato lo doveva alle stagioni che aveva fatto lavorando negli alberghi in Alto Adige, ed erano soltanto le frasi base che gli consentivano di capire i clienti che, in Birkenstock e calzini, gli ordinavano pizza e lasagne.
Quando Luise gli aveva aperto la porta, Feliciano aveva fatto del suo meglio per farsi capire, ma la ragazza non sembrava particolarmente interessata alle sue vicissitudini.
"Sprichst du Deutsch?" gli aveva chiesto dopo un po', uno sguardo assassino negli occhi.
Feliciano aveva ridacchiato, sfoderando la sua frase di emergenza. "Nur ein bisschen."
L'altra aveva sospirato e aveva lasciato perdere ogni tentativo di fare conversazione. In effetti, Feliciano non pensava che fosse molto socievole... anzi, gli pareva un poco ostile.
Un poco.
Così, i primi giorni il giovane li aveva passati più al ristorante che non nel suo nuovo appartamento. Lavinia lavorava come cameriera, mentre il suo ragazzo, Antonio, uno spagnolo sempre sorridente e dal riso facile, faceva il barista.
Feliciano non sapeva nemmeno lo spagnolo, ma viste le affinità tra questa lingua e l'italiano, alla fine non era affatto difficile capirsi, e l'ambiente del ristorante era decisamente più accogliente della casa doveva aveva trasferito i suoi pochi possedimenti. Così, per le prime due settimane circa, lui e Luise quasi non si incrociarono (e, quando lo fecero, non fu un'esperienza piacevole per nessuno dei due).
Feliciano tornava a casa a notte tarda, quando la ragazza aveva spento la luce già da un bel po', e si alzava tardi, quando lei era già uscita per andare a lezione. Più di una volta, l'italiano aveva trovato dei biglietti sparsi a casa: sulle pantofole, sul lavandino di cucina, sugli spazzolini in bagno.
Erano scritti con una calligrafia ordinata, ma erano in tedesco, e lui non aveva nemmeno un vocabolario: se li era portati al lavoro per farli vedere ad Antonio, che viveva a Berlino ormai da quattro anni ed il tedesco lo sapeva molto bene, e lui si era messo a ridere.
"Willkommen in Deutschland!" gli aveva detto con una pacca sulla spalla. "Pare che la tua amica qui sia una maniaca dell'ordine. Ricordati di mettere le tazze a posto e di indossare le mutande fuori dalla doccia, e dovresti cavartela."
A parte i bigliettini minatori, comunque, le interazioni tra i due neo coinquilini furono praticamente nulle fino a che il giorno libero di Feliciano non venne a coincidere con uno di quelli in cui Luise non aveva lezione.
Anche nei giorni in cui non doveva andare all'università, la ragazza aveva l'abitudine di svegliarsi presto per fare i suoi esercizi di stretching e per studiare. Alle 7 in punto, fece capolino dalla sua stanza per andare in bagno e a fare colazione, indisturbata nel silenzio della casa. La porta di Feliciano era chiusa e non c'era luce che proveniva dalla serratura, segno che le tende erano tirate e che l'altro era profondamente addormentato.
La situazione non era cambiata quando, verso mezzogiorno, Luise entrò in cucina per andare a cucinarsi qualcosa. L'arrivo dell'italiano aveva comportato l'improvvisa comparsa, negli armadietti della cucina, di una serie di confezioni di pasta e sughi di ogni tipo, che Luise ogni tanto sbirciava con malcelata curiosità. Alla fine, un paio di giorni prima, al supermercato aveva infilato nel cestino anche una confezione di spaghetti, che era poi l'unico tipo di pasta che le era famigliare.
Prese la pentola, la riempì d'acqua, ci ficcò gli spaghetti e accese il fuoco.
Di là, si sentirono i primi segni del risveglio del coinquilino: sbadigli, tende tirate, un piede sbattuto contro una sedia e un gemito di dolore.
Luise sentì che usciva dalla stanza e andava in bagno: dopo pochi attimi, si udì lo scorrere dell'acqua della doccia. Lei si rilassò, ben barricata nella sua piccola cucina, lasciando che gli spaghetti si snodassero pigramente nell'acqua bollente. Quando le sembrarono sufficientemente morbidi, Luise scolò il tutto (per correttezza, non prese a prestito lo scolapasta dell'italiano, ma fece buon uso del coperchio della pentola), trasferì la pasta nel piatto e corredò il tutto con una abbondante colata di rosso ketchup.
(Nel frattempo, aveva sentito la porta del bagno richiudersi, e l'altro dirigersi di nuovo dentro la sua stanza fischiettando.)
Proprio quando Luise stava per iniziare a mangiare, però, la raggiunse la suoneria del telefono. La ragazza sospirò pesantemente, alzandosi da tavola per andare a vedere chi la cercava.
Per fortuna, era solo un compagno di corso che chiedeva chiarimenti sull'orario di una lezione – Luise aveva sempre tutto sotto controllo, consegne, date di scadenza e spostamenti di lezioni, e questo la rendeva la vittima preferita degli studenti più distratti.
Luise riappoggiò il telefono sulla scrivania, borbottando tra i denti che lei non era la segretaria di tutta l'università, e che certe persone erano grandi abbastanza per segnarsi le cose sull'agenda, quando sentì un grido provenire dalla cucina.
Allarmata, si precipitò fuori, chiedendosi se per caso quello svampito del coinquilino fosse scivolato o si fosse ferito con un coltello (nonostante fosse un cuoco, sembrava il tipo da finire male in modi del genere) e aspettandosi già di trovare pavimento e mobili inondati di sangue.
Quello che trovò, invece, era il succitato coinquilino, seminudo, in piedi vicino al tavolo dove Luise aveva apparecchiato per sé.
“Che cosa c'è?” fece, sempre allarmata, guardandosi intorno e aspettandosi di trovare chissà cosa.
“G-gli spaghetti...” replico quello, alzando la mano tremante verso il piatto di pasta.
Luise alzò un sopracciglio, severa. L'altro aveva parlato in italiano, ma non le era stato difficile capire che cosa aveva detto.
“Beh? Che hanno fatto, si muovono da soli? E per favore, mettiti una maglia.”
Per lo meno, aveva i boxer, ma Luise avrebbe gradito che si indossasse più di un indumento, alla sua presenza.
Feliciano la guardò stralunato. Ai suoi occhi, la sostanza bianchiccia e collosa che riempiva il piatto sarebbe stata già abbastanza orrenda così, e l'aggiunta di quella colata di ketchup rendeva il quadro ancora più inquietante e terribile.
“E'... è ketchup.”
“...sì.”
“N-non lo metti, il ketchup sulla pasta... nein. Nicht gut.” fece Feliciano nel panico, tentando di esprimersi a gesti.
Luise roteò gli occhi, spostando la sedia e tentando di sedersi, ma in quella il suo telefono tornò a squillare. Sbuffando, lanciò un'occhiata all'italiano, che stava ancora lì con la pelle d'oca (per forza! Che si vestisse!) a fissare gli spaghetti, e tornò in camera, per rispondere a tono a quella che si rivelò essere un'ennesima sfilza di quesiti sugli orari delle lezioni. Ma la gente li leggeva, gli avvisi, o cosa?
Quando tornò in cucina, però, il suo piatto era sparito – o meglio, il piatto in sé c'era ancora, solo che era vuoto.
“Tu...” lanciò un'occhiata malvagia a Feliciano, che nel frattempo si era messo ai fornelli, e dallo sguardo colpevole che l'altro le rivolse seppe che aveva ragione. Alzò il coperchio del cestino e non fu sorpresa di trovarvi i suoi spaghetti, che tristemente si allungavano come pallidi tentacoli su per le pieghe del sacco di plastica, implorando di essere riportati alla luce.
Richiuse il coperchio, guardando in faccia l'italiano, sentendosi diventare rossa di rabbia.
“Perché me l'hai buttato, si può sapere?!” fece, cercando di trattenere uno scoppio d'ira.
L'altro – che pur non avendo capito le parole esatte, sapeva benissimo a cosa lei si stesse riferendo – si esibì in quello che sperava essere un sorriso conciliante.
“Ich mache gute Pasta, ja?” rispose, indicando la pentola.
“Gute pasta col cavolo! Non puoi andare in giro a buttare via il cibo della gente! E poi, non puoi andartene in giro in mutande!” sbottò lei, un indice puntato verso Feliciano.
L'altro tremò visibilmente, nascondendosi dietro il mestolo.
“Stammi bene a sentire, dobbiamo mettere in chiaro che in questa casa ci sono delle regole e che queste vanno rispettate! Prima di tutto, buttare il mio cibo nel cestino è verboten! Secondo, girare per la casa con solo le mutande è verboten! Girare senza mutande è ancora più verboten! E poi...”
Nel frattempo, Luise si era resa conto che l'altro davvero non la stava seguendo.
“...vestiti, almeno.” sibilò, le braccia incrociate sul petto.
Finalmente, Feliciano sembrò afferrare, e si guardò intorno preoccupato, finché i suoi occhi non incontrarono un grembiule, che lui si infilò prontamente.
Una volta legato dietro la schiena e sul collo, si voltò verso l'altra con un sorrisone.
“Ich mache gute Pasta, ja? Sehr gut, okay? Bitte warten Sie!” sproloquiò, esibendo un sorrisone smagliante e girando ben in su i pollici di entrambe le mani.
Luise collassò sulla sedia con un sospiro.
No, come aveva già previsto fin dal principio, lei non avrebbe resistito per un anno interno, assolutamente no.
Lanciandole ogni tanto qualche occhiata apprensiva, Feliciano nel frattempo pregava con tutte le sue forze il dio degli spaghetti affinché desse la forza all'acqua di bollire più in fretta ed alla pasta di cuocersi prima.
Detestava il fatto di essere stato costretto ad agire così – ma quell'abominio nel piatto della tedesca non poteva esistere. Scotti, collosi, insudiciati dal ketchup: non erano più spaghetti, quelli.
No, ci avrebbe pensato lui a far mangiare alla signorina un piatto di pasta decente. Era la sua specialità, no?
Riuscì a scolare la pasta prima che lei decidesse di usarlo per testare l'affilatura dei coltelli da cucina. Non c'era stato il tempo per fare condimenti elaborati, ma Feliciano sapeva rendere gustoso anche un semplice sugo al pomodoro.
In più, sembrava davvero che la ragazza seduta al tavolo avesse delle papille gustative decisamente fuori allenamento, e Feliciano sapeva che questo giocava sempre a suo favore.
“Et voilà!” canticchiò, facendo atterrare con disinvoltura il piatto, nuovamente pieno, di fronte alla bionda. L'occhiata che lei gli restituì gli fece morire in gola qualsiasi altro commento, e Feliciano si limitò a servire se stesso e a sedersi a sua volta (rigorosamente all'altro estremo del tavolo – anche se, piccolo com'era, la distanza tra i due non era tale da potersi definire “di sicurezza”).
Luise gli rivolse uno sguardo acido, tentando forse di distrarlo dal fatto che non riusciva ad arrotolare gli spaghetti intorno alla forchetta, dando perfettamente ad intendere che non le piaceva essere osservata mentre falliva nel tentativo. Capita l'antifona, Feliciano riportò gli occhi sulla sua pasta, e si mise a mangiare di buona lena.
Luise seguì con occhi freddi ma, sotto sotto, quasi ammirati, l'abilità e la velocità delle dita che facevano roteare tra loro l'impugnatura della forchetta, che danzava quasi tra gli spaghetti, mentre questi si lasciavano arrotolare tra i denti di metallo docilmente.
Con calma, provò a fare le stessa cosa, e il tentativo risultò in una serie di gocce di sugo sul bordo del piatto e sul tavolo. Al secondo tentativo, la massa di spaghetti sembrava reggersi bene attoro alla forchetta, ma cedette prima che riuscisse a raggiungere la sua bocca, lasciando una traccia di rosso pomodoro lungo il mento e le dita.
“...scheisse.”
Ora, perché mai una cosa semplice come mangiare un piatto di pasta sembrava essersi trasformata in una sfida all'ultimo sangue?
E, peggio ancora, l'altro la stava guardando e stava, senza dubbio ridendo di lei. Arrossì, arrabbiata ed in imbarazzo.
In effetti, Feliciano stava sorridendo, ma il suo non era un sorriso di scherno. Era semplicemente felice di aver scoperto un insospettato lato grazioso nella sua coinquilina, che fino a quel momento gli era apparsa come un'amazzone fredda e spietata. Mentre era lì che cercava di pulirsi il sugo dal mento, le gote rosse di vergogna, Feliciano ammise a se stesso che sì, era davvero carina.
Che avesse un bel fisico lo aveva notato dal primo istante, naturalmente – soprattutto la sua zona petto... quella era decisamente, decisamente interessante, ve.
Ma il suo tono di comando ed i suoi modi bruschi avevano scoraggiato Feliciano da qualsiasi approccio amichevole nei suoi confronti, figuriamoci flirtereccio!
“Piantala di guardarmi con quell'aria da rimbambito, chiaro?!” scattò lei, agitando un indice nella sua direzione, miacciosa.
Feliciano rise, tornando a mangiare, sempre osservandola di sottecchi per scoprire che anche il nuovo tentativo di mangiare quei benedetti spaghetti era finito in un bagno di sugo. A quel punto, il ragazzo si alzò e le andò accanto.
Sulle prime, Luise fece per ritrarsi – che cosa ci faceva così vicino a lei, e per di più senza indossare nemmeno una maglietta?! - ma poi lui le coprì la mano con la sua, facendole girare piano le dita e infine accompagnandogliela gentilmente mentre si portava la forchetta verso la bocca. Il tutto era accaduto troppo in fretta perché Luise potesse ribellarsi (e no, non era stata minimamente distratta dal profumo di doccia schiuma e dopobarba che emanava la pelle di Feliciano) e quando si ritrovò gli spaghetti ad un millimetro dalla bocca, be', non poté fare altro che mangiarli, tentando di ignorare, paonazza in viso, come sembrasse che Feliciano la stesse imboccando.
Un attimo dopo, fu nuovamente distratta dal sapore.
“Oh... è buono.” fece sorpresa, sempre masticando.
Lanciò un'occhiata sospettosa a Feliciano, che si strinse nelle spalle, sorridendo. Del resto, era o non era un cuoco?
Il pranzo proseguì in silenzio, e Luise finì il suo piatto di gran lena, finendo col non curarsi più delle gocce di sugo sul mento.
Feliciano, dal canto suo, la guardava soddisfatto: la sua cucina era stata più di una volta il metodo giusto per farlo avvicinare ad una ragazza, ed anche questa volta sembrava aver colto nel segno.
Feliciano cucina davvero bene. Questa è la terza volta che cucina anche per me, durante il suo giorno libero, e prepara sempre piatti eccellenti. Almeno sembra sia bravo nel suo lavoro – il che spiega come non lo abbiano ancora rimandato a casa, visto che per il resto continua ad essere sciatto.
Fortunatamente, ora si ricorda sempre di indossare le mutande. Gli altri vestiti sono sempre un optional ma almeno sulle cose di base sembra che ci siamo.
Abbiamo fatto conversazione, a pranzo. Sembra che il suo tedesco stia migliorando.
anche se cucina bene, Feliciano è un cafone.
L'altra notte – erano le quattro di mattina, un orario indecente per tornare a casa! - me lo sono ritrovata nel mio letto!
L'ho svegliato a suon di urla e tutto quello che ha saputo dirmi è stato che c'era stata un piccola festicciola al ristorante, che aveva bevuto troppo e che aveva sbagliato porta. Se non altro sembra che il suo tedesco fosse bello sciolto, nonostante l'alcool, perché ha parlato con un uso proprio della lingua.
La prossima volta torno alla mia lima per unghie.
io non so che clima ci sia, in Italia, ma questo scemo non ha idea di che cosa significhi l'inverno a Berlino. Ha un cappottino tutto elegante che gli starà anche bene, ma sicuramente non scalda.
come volevasi dimostrare, si è preso l'influenza. Ho chiamato io per lui al lavoro, stamattina, per comunicare che non sarebbe andato, e mi ha risposto la sorella. Sembrava arrabbiatissima, perfino con me, nemmeno fosse colpa mia se quel genio del fratello si è ammalato. Ora sarà meglio che vada a fargli un tè caldo. E' meglio che rimanga a letto, con la febbre che ha.
mi chiedo quale sia il problema della sorella di Feliciano. Visto che stava ancora male, ieri mattina è venuta a trovarlo, e io mi sono beccata una serie di insulti incomprensibili senza motivo. Credo c'entrassero wurstel e patate, ma non ne capisco il motivo. Comunque, non credo di starle simpatica.
L'inverno a Berlino era decisamente gelido. A gennaio, la temperatura era caduta diversi gradi sotto lo zero e spesso soffiava un forte vento gelato che penetrava astutamente sotto ogni strato di vestiti.
Feliciano e Lavinia erano riusciti a tornare per qualche giorno a Roma dalla famiglia, sotto Natale, e lo sbalzo impietoso di temperature non aveva aiutato la salute di nessuno dei due.
Feliciano era riuscito ad ammalarsi ben tre volte, entro la fine di gennaio, nonostante il grosso cappotto che aveva acquistato dopo la prima influenza, ed erano di più le settimane che aveva passato impasticcandosi di antibiotici che no.
Era febbraio, ora, e dopo alcuni giorni di cielo plumbeo e coperto la temperatura si era alzata. Verso ora di cena, si era alzato un vento impietoso ed aveva cominciato a piovere. Le gocce erano stiletti di acqua gelida che si riversavano impietosi sui rari passanti fuori dal ristorante.
Per l'ora di chiusura, il tempo non era affatto migliorato, e la pioggia insistente aveva formato larghe pozze sul marciapiede ed ai lati della strada.
Feliciano ed Antonio si affacciarono sulla soglia, intabarrati in sciarpe e berretti, incerti sull'uso che dovevano fare dell'unico ombrello che possedevano. Neanche a dirlo, la stazione della metro era ad un isolato di distanza, e i due dovevano andare in direzioni diametralmente opposte.
“L'ombrello è tuo, Antonio, io posso fare una corsa fino alla metro e...”
“Ma sei matto? Sei appena tornato al lavoro, se ti ammali di nuovo tua sorella mi uccide!”
“Feliciano.”
Entrambi gli uomini fecero un salto, voltandosi di scatto verso la figura che aveva parlato all'improvviso.
“...L-Luise?”
La ragazza era comparsa dal nulla – o meglio, dalle ombre di una pensilina del tram dietro l'angolo – ed aveva il volto semicoperto dal cappuccio e dal bavero del cappotto, tirato su fino a nascondere il naso. I suoi occhi color ghiaccio li fissavano, diffidenti e decisi. Feliciano si ritrovò ad indovinare che, sotto gli strati di lana, le guance della ragazza erano di un bel color porpora.
“Chi sennò, testa di rapa. Ti ho portato un ombrello.” disse semplicemente, allungandoglielo.
Feliciano ed Antonio si guardarono, e poi guardarono lei. Nello stesso istante in cui Antonio cominciava a ridacchiare deliziato, l'altro prese a gesticolare con grande preoccupazione.
“Ma Luise! Cosa ci fai qui a quest'ora? E' tardi! Non avresti dovuto preoccuparti per me, ve! E poi girare da sola di notte... avresti potuto almeno entrare nel ristorante!”
Lei distolse lo sguardo, apparentemente infastidita da tutta quell'ansia.
“Sciocchezze. Andiamo, dai.” fece, facendo per muoversi.
Feliciano sospirò, sorridente.
“Ja~ Grazie. Buonanotte, Antonio! Direi che puoi tenere l'ombrello!” fece Feliciano, avviandosi dietro a Luise.
“Buonanotte a voi!” salutò Antonio con ampi gesti della mano, incamminandosi nella direzione opposta e con un grande sorriso sulla faccia.
“Sei stata gentile a preoccuparti per me.” disse Feliciano mentre camminavano verso la fermata della metro. “Anche se di solito dovrebbero essere i ragazzi ad aspettare le signorine con un ombrello sotto la pioggia.”
“Ma piantala di dire scemenze. Non ricordi l'ombrello per te, non credo ti ricorderesti di portarlo a nessun altro.” sbuffò lei, scrollando le spalle. “E poi, se ti avessi fatto tornare a casa sotto la pioggia e ti fossi ammalato di nuovo, avrei finito con l'essere ammazzata da sua sorella, il che non rientra nei miei piani.” replicò aspra.
Feliciano annuì, chiedendosi se davvero sua sorella incutesse così tanto timore a Luise da costringerla ad uscire nel mezzo della notte per venire a recuperarlo.
“Fa freddino, eh?” fece lui giulivo.
“...è inverno.” commentò secca l'altra.
Feliciano ridacchiò, prendendola sottobraccio mentre scendevano i gradini della fermata della metropolitana. Luise sbuffò ma non si ritrasse, e quando si sedettero l'uno accanto all'altro sul treno, e lui le appoggiò la testa sulla spalla, sospirando di stanchezza ma anche di soddisfazione, lei appoggiò a sua volta la guancia sui suoi capelli. Rimasero così finche il treno non raggiunse la loro fermata.
Feliciano è tornato in Italia ieri. Suo padre si è sentito male ed è ricoverato in ospedale, a Roma. Non mi ha ancora telefonato e non so niente su come stia e su che cosa sia successo. L'ho accompagnato all'aeroporto ieri mattina alle 6. Mi sto portando il cellulare anche in bagno per poter rispondere subito se mi chiama.
sembra che il padre di Feliciano stia meglio, ma la convalescenza sarà lunga. Lui dice di non riuscire a tornare per almeno altre due settimane. Sua sorella è già dovuta rientrare, invece, ma probabilmente ritornerà a Roma quando lui verrà qui a Berlino.
Spero davvero che suo padre si rimetta in fretta e che Feliciano possa tornare presto.
oggi a pranzo ho provato a fare la parmigiana di melanzane come mi aveva fatto vedere Feliciano. Mi è venuta tutta bruciata e non assomigliava minimamente a quella delizia che mi ha preparato lui il mese scorso.
Ammetto che mi mancano i pranzi che facevamo insieme almeno una volta a settimana.
Sì, ammetto che mi manca anche lui.
Feliciano mi ha telefonato stamattina per dirmi che tornerà tra cinque giorni. Sono contenta che suo padre stia abbastanza bene e che lui possa tornare.
Quella sera stessa, Luise si sentiva particolarmente sola. Improvvisamente, quei cinque giorni che la separavano dal ritorno di Feliciano sembravano un tempo infinito. Vagò per la casa, annoiata e nervosa. Era tardi, ma non aveva voglia di andare a dormire. Tra sé e sé, maledisse Feliciano per il fatto che, in un modo o nell'altro, riusciva a tenerla sempre sveglia la notte.
Alla fine, entrò in camera sua. Non si era permessa di toccare niente, lì dentro, salvo piegare i vestiti che il ragazzo aveva lasciato alla rifusa sul letto mentre, in fretta e furia, preparava la valigia la notte prima di prendere l'aereo. Aveva rifatto il letto, anche, ma per il resto non vi era più entrata.
Amava che la sua privacy venisse rispettata, e faceva altrettanto con quella altrui, di solito. Quella sera, però, la fitta di nostalgia che le aveva chiuso il petto richiedeva di essere curata in qualche modo.
Si sedette sul letto, guardando le due foto che Feliciano teneva sulla scrivania confusionaria. Una rappresentava lui e Lavinia da piccoli, insieme ai loro genitori. Erano al mare, ed i due bimbi erano seduti vicino ad un castello di sabbia adornato di conchiglie. Feliciano indossava un cappellino bianco, un po' troppo grande per lui, ed un costumino a righe azzurre.
L'altra era una foto di quella che sembrava una cena di classe: Feliciano era in secondo piano, seduto dietro ad un piatto di pizza vuoto e ad un bicchiere di coca cola. Si vedeva che era più giovane di qualche anno, nella foto, mentre sorrideva all'obbiettivo. Era venuto con gli occhi un po' chiusi.
Luise sospirò, rimettendo a posto la foto. Sul muro, attaccate con lo skotch, ce n'erano altre due: una raffigurava lui, Lavinia ed Antonio al ristorante, nelle loro divise da lavoro. La sorella aveva la solita espressione incazzata, e lui il suo solito sorrisone un po' svampito.
Appena sopra, invece, c'era una foto di loro due davanti alla porta di Brandeburgo. Era un domenica autunnale e Feliciano aveva insistito perché Luise lo portasse a fare un giro turistico della città. Indossavano giacche leggere, nella foto – già, doveva essere appena ottobre, quando l'avevano scattata.
Luise arrossì nel notare che era venuta con la sua solita espressione da “io per un anno con questo non posso viverci”. Beh, Feliciano le aveva dato de filo da torcere, all'inizio, non poteva negarlo.
Gliene stava dando anche adesso, anche se in modo diverso.
Si buttò stesa sul letto, tirando fuori il cuscino da sotto il piumino, sprofondandovi il naso per assaporare l'odore di Feliciano di cui il tessuto era ancora pregno.
Se lo immaginò lì, accanto a lei, che le passava un braccio attorno alla vita e le posava il mento sulla spalla, guardandola con quell'espressione dolce ed affezionata che le dedicava spesso.
Luise arrossì, ben consapevole di dove quella fantasia l'avrebbe portata.
Arrossendo colpevolmente, si infilò sotto il piumino. Non erano certo le sue braccia, ma quel tepore e l'odore di lui che la avvolgevano morbidamente erano quanto di più realistico potesse concedersi per ora... e per sempre, per quanto ne sapeva.
Gli occhi chiusi mentre ispirava a fondo dalla federa, lasciò che la sua mano scivolasse sotto il suo ombelico e si infilasse sotto il morbido elastico dei pantaloni del pigiama.
Nell'orecchio, poteva quasi sentire la voce di Feliciano che le sussurrava qualcosa di dolce o di divertente, mentre le sue mani la accarezzavano dapprima piano, poi con insistenza.
Luise sospirò, mordendosi il labbro per reprimere il senso di colpa ed insieme aumentando la velocità delle sue dita.
L'abbraccio di Feliciano sarebbe stato caldo e morbido, la sua bocca l'avrebbe baciata senza sosta rubandole ogni gemito e le sue mani le avrebbero allargato le cosce lentamente, scivolando lungo il suo ventre e facendola rabbrividire di piacere. L'avrebbe stretta a sé e sarebbe entrato dentro di lei lentamente, baciandole il collo ed il petto e spingendo sempre più velocemente, finché...
Luise venne, il bacino leggermente inarcato all'insù e le dita dell'altra mano contratte attorno alle coperte, lasciando che i suoi polpastrelli indugiassero ancora per qualche istante attorno al clitoride, procurandosi lievi e deliziosi brividi.
Un momento dopo, se le ripulì in fretta sul cotone delle mutande, tirandosi su i pantaloni ed abbassandosi la maglia del pigiama.
Si era appena masturbata nel letto di Feliciano e, nonostante tutto il suo corpo gongolasse di piacere e sazietà, si sentiva un essere ignobile.
Lei e Feliciano non stavano assieme, né c'era nulla che le facesse credere che per lui lei fosse più di quello che era, ovvero la sua coinquilina. Un'amica, al più, forse.
Si rigirò nel letto, la testa affondata nel cuscino e il piumino ben avvolto attorno al corpo. Accanto a lei, continuava ad immaginarsi Feliciano, che adesso, era sicura, si sarebbe già bell'e addormentato.
La mente saldamente aggrappata a quel pensiero, seguì il suo amante immaginario nel mondo dei sogni.
l'aereo di Feliciano atterra domani pomeriggio alle cinque. Andrò a prenderlo.
Ho fatto una lunga lista della spesa, prima, e ho pianificato un menù per preparargli una cena di bentornato. Ho trovato un manuale di ricette e sono sicura che non sbaglierò, se le seguo passo passo.
In effetti, quando finalmente mise tutto in tavola, Luise si sentiva piuttosto orgogliosa dei risultati del pomeriggio passato in cucina. Va bene, forse non era all'altezza di un cuoco professionista come Feliciano, ma certo aveva dato il meglio di sé e, per una alle prime armi con la cucina, non se l'era cavata male.
L'italiano, però, non sembrava entusiasta. L'aveva abbracciata e baciata sulle guance, le aveva sorriso, aveva mangiato. Ma c'era qualcosa di smorto, nel suo atteggiamento, e Luise lo osservava con preoccupazione mentre giocherellava con gli avanzi di lasagna nel suo piatto.
“Ti è piaciuto?” chiese Luise, suonando più severa di quanto non intendesse.
“Eh?” lui sembrò cadere dalle nuvole “Oh, oh sì, certo. Era tutto ottimo!” rispose sorridendole.
Poi, calò di nuovo il silenzio.
“Allora...” ricominciò lei ad un certo punto, incerta. In tutti quei mesi passati insieme, non aveva mai sentito il peso del silenzio. “Dimmi un po' di tuo padre. Si sta rimprendendo?”
“Ah, sì sì. Insomma, sta meglio. Ci vorrà del tempo, però.” rispose, guardando da un'altra parte.
“Capisco.”
A sua volta, Luise stava giocherellando con l'insalata che si era servita, tesa. Dopo qualche istante, però, Feliciano riprese a parlare.
“Lavinia andrà a Roma tra due giorni, ma non può fermarsi per più di una paio di settimane... io credo che dovrò tornare giù, ecco. Papà ha bisogno di assistenza e mia madre non riesca a stargli dietro da sola. Non possiamo permetterci aiuto esterno e... insomma, il mio contratto al ristorante scade proprio a fine mese. Credo che rimarrò a Roma.”
Quando finalmente si decise a guardare Luise negli occhi, lo fece con aria affranta e colpevole.
Lei deglutì a vuoto.
“Io... credevo che saresti rimasto sicuramente per tutto un anno... fino a settembre, finché non ritornava Julchen.” disse lei, con voce piatta.
“Beh, il contratto mi sarebbe stato rinnovato, ma... giù hanno bisogno di me. Lavinia vive qui da quasi due anni, insieme ad Antonio, e credo che... sia giusto... che sia io a tornare, ecco.”
“Sì, certo, capisco.”
Già. Lavinia aveva un convivente ed un posto di lavoro fisso. Feliciano, invece, non aveva nulla di tutto questo.
“Se non riesci a trovare un altro coinquilino, posso pagare i mesi che rimangono, naturalmente...”
“Non credo sarà un problema, quello.” tagliò corto lei, voltandosi di lato.
“Oh, certo.” fece Feliciano debolmente, distogliendo lo sguardo a sua volta.
Tornò a sollevarlo dopo diversi secondi, e si ritrovò a fissare con sommo stupore gli occhi leggermente lucidi di Luise, che stava ancora fissando intensamente un punto inesistente sopra il lavandino.
“Ehi, ehi!” Feliciano si alzò in tutta fretta, andandole accanto. “Scusa.”
Le prese le mani, stringendogliele. “Mi dispiace, lo so che avrei dovuto parlartene prima, ma non è stata una decisione facile, sai. Non posso rimanere, però sono sicuro che troverai qualcun altro per la stanza, e...”
“No!” Luise si ritrasse con stizza, asciugandosi un accenno di lacrima col dorso della mano “No. Non è questo il problema, idiota. E' che...” tirò su col naso, le sopracciglia aggrottate mentre si imponeva di non scoppiare a piangere come una bambina. L'aveva aspettato con trepidazione per settimane e tutto quello di cui lui si preoccupava era il fatto di trovarsi un nuovo coinquilino?
Il groppo in gola, però, le impediva di parlare.
“Che?” insisté lui, vicino. Luise scosse la testa, incapace di esprimersi, e poi, improvvisamente, lo abbracciò, affondando il viso nel suo petto. La sua maglia era pregna dell'odore dell'aria sintetica degli aeroporti mischiata al sentore delicato del suo dopobarba.
No, non voleva che se andasse. Poteva resistere un anno con lui, poteva e voleva. Non era leale che lui la abbandonasse proprio adesso.
Feliciano si chinò su di lei, abbracciandola e cullandola leggermente, finché, ad un tratto, Luise lo sentì tirar su col naso.
“Ehi!” protestò tirandosi indietro “Non mettertici anche tu! Fa' l'uomo e non piangere!”
Feliciano la guardò con occhi lucidi.
“Eeeh? Ma come faccio? Tu... mi mancherai, Luise.” tirò su col naso un'altra volta, e Luise gli accarezzò una guancia, accompagnando il gesto ad uno sguardo severo. Non poteva mettersi a piangere anche lui, altrimenti...
Feliciano strofinò la guancia contro la sua mano, chiudendo gli occhi. Le prese il polso delicatamente, sovrapponendo le proprie dita alle sue. Quelle carezza era forse il gesto più tenero che Luise gli avesse mai dedicato in quei mesi, e Feliciano voleva goderne appieno.
Senza pensarci, le baciò delicatamente la mano.
L'attimo dopo, quella stessa mano era fermamente piazzata dietro alla sua nuca, e Luise lo aveva attirato a sé per baciarlo sulla bocca.
Il tragitto dalla cucina alla stanza di Luise era stato compiuto senza che nessuno dei due si fosse reso conto del come. Non c'era un soggiorno, nell'appartamento, e la cucina non era il luogo più adatto per baciarsi appassionatamente, soprattutto ora che ogni superficie libera era piena zeppa di stoviglie.
Seduti sul bordo del letto, le loro labbra e lingue non si davano tregua, e mentre le mani di Luise erano saldamente piazzate dietro la nuca e le spalle di Feliciano, quelle del ragazzo erano scese ad ispezionare la striscia di pelle compresa tra i pantaloni e la maglia della bionda.
Luise aveva rabbrividito un po', ma aveva lasciato fare; le dita di Feliciano sulla pelle, anche se erano una sensazione nuova, le procuravano una serie di piccoli, frizzanti brividi, e fu quasi delusa quando lui le ritirò – salvò poi deglutire nervosamente quando quelle mani ricomparvero sul suo stomaco e presero a salire verso il suo petto.
Feliciano le slacciò lentamente i bottoni della maglia, sfilandogliela dalle spalle mentre le baciava piano il collo, scostando col naso il tessuto del colletto. Le sue mani indugiarono appena sul suo seno, prima di sparire nuovamente sotto la dolcevita aderente che indossava, alzandogliela.
Luise deglutì di nuovo, ma lasciò fare, tremando appena quando le dita di Feliciano si insinuarono sotto le coppe del reggiseno per sfiorarle e massaggiarle i capezzoli ben eretti.
Piano, iniziò a spingerla giù verso il materasso, le labbra che adesso insistevano in un particolare punto della sua gola, deliziandola. Il corpo di Luise si distese docilmente sotto Feliciano, la schiena nuda rabbrividì appena al contatto con il cotone freddo, mentre le mani di lui prendevano completamente possesso dei suoi seni. Ci giocò per un po', ma poi ne abbandonò uno per lasciare che le dita andassero ad esplorare lo stomaco ed il ventre di Luise, continuando imperterrite il loro viaggio verso sud, senza lasciarsi intimidire dalla zip dei jeans e dalla biancheria sottostante. Curiosi, i suoi polpastrelli scesero nella peluria dell'inguine e si insinuarono gentilmente tra le sue labbra, calde ed umide. Lasciò che il dito indugiasse un po' a studiarne i contorni, mentre sollevava lo sguardo per osservare le reazioni di Luise, che sembrava essersi improvvisamente irrigidita.
“Feliciano...” fece lei con voce un po' rauca “Io... uhm... io non l'ho mai... insomma.”
Paonazza in viso, si voltò dall'altra parte. Feliciano la guardò sorpreso, e dopo quegli attimi che impiegò a realizzare cosa volesse dire, fu svelto a ritirare la mano.
“Oh, oh cielo, scusa!” Si tirò su in tutta fretta, sedendosi sul bordo del letto.
Luise si tirò su a sua volta. “...ma che fai?!”
Feliciano sembrava imbarazzato “Ero troppo preso a... sono andato troppo in fretta... mi dispiace.”
Lei lo guardò senza capire, sistemandosi la maglia per coprirsi il petto.
“Ma che dici?”
“Voglio dire... se non vuoi o... uhm...” diamine, come si faceva in quei casi? Feliciano era abbastanza sicuro di non essere mai andato a letto con una vergine “...se non ti senti pronta, ecco, non dobbiamo...”
“...Feliciano.”
Lui si voltò verso di lei, timoroso.
“Pensi che abbia paura?” Luise gli prese la mano, sistemandola nella zip aperta dei pantaloni. Nel farlo, il suo viso aveva probabilmente raggiunto nuove tonalità della scala cromatica, per quanto riguardava i rossi, ma alla ragazza non importava. Non si sentiva pronta? Aveva passato settimane a fantasticare su quel momento - anni, a dire il vero (anche se Feliciano si era aggiunto alle sue fantasia solo di recente) - e non sarebbe stata pronta?
Lui la osservò sorpreso, ma poi sorrise.
“Nossignora!” trillò, con un entusiasmo appena fuori luogo, e la baciò, spingendola nuovamente sotto di lui sul materasso.
Le sue mani iniziarono ad abbassare insieme slip e pantaloni, e Luise, dopo un attimo di sorpresa, si decise a dargli una mano. L'epidermide del suo ventre e delle sue gambe, esposta all'aria fredda, si coprì di un sottile pelle d'oca, ma Feliciano fu svelto a sollevare il piumino e ad infilare entrambi sotto le coperte, sfilandosi in fretta anche i propri pantaloni e la propria maglia.
Al caldo riparo della coperta, le sue mani scivolarono con entusiasmo lungo le natiche e cosce di Luise, lunghe e morbide. Risalì lungo la sua schiena, armeggiando per qualche lungo attimo prima di riuscire a slacciarle il reggiseno. Con pazienza, le fece allungare le braccia sopra la testa per sfilarle gli ultimi indumenti.
La baciò a fondo, mentre le sue mani ne accarezzavano tutto il corpo in lungo ed in largo, quasi incredule di averlo a disposizione, nudo, tutto per loro.
Mentre le sue dita tornavano ad esplorarle l'inguine, poteva avvertire la leggera tensione dei muscoli sotto la pelle. Rassicurante, Feliciano le riempì il viso di baci, mentre le dita della sua mano destra si strofinavano lentamente contro la sua carne umida.
Luise chiuse gli occhi, affidandosi alle mani di Feliciano e lasciandosi inebriare dall'odore dei suoi baci. Le sue dita scivolavano facilmente contro di lei, e dopo qualche attimo di timidezza Luise aggiustò il bacino, divaricando leggermente le gambe, lasciando che quei polpastrelli la toccassero dove voleva. Feliciano rispose succhiandole il collo ed aumentando la velocità, e Luise soffocò un gemito.
Pian piano, iniziò a muovere il bacino a ritmo con la mano di lui, e Feliciano affondò il viso nel suo seno, leccandole un capezzolo e torturandoglielo fino a che non riuscì a strapparle un singulto di piacere. La schiena inarcata, sotto di lui la ragazza era un fascio di muscoli irrigiditi, e Feliciano sapeva che, questa volta, non era per la timidezza. Eccitato ed estasiato dalla sensazione, avrebbe dato qualsiasi cosa per potere essere dentro di lei in quel momento, ma non avrebbe mai osato interromperne il piacere.
Le sue dita continuarono a muoversi spasmodicamente su e giù, fino a che non sentì Luise affondargli le unghie nel cuoi capelluto, trattenendo il respiro, per poi ripiombare improvvisamente sul materasso sotto di loro, senza fiato.
Feliciano la accarezzò ancora, più lentamente, finché lei non intervenne a bloccargli la mano. Lui la baciò dolcemente sulle labbra, stringendosela contro mentre riprendeva fiato.
Rimasero fermi per un po', i cuori che battevano forte uno contro l'altro. Se quello di Luise andava pian piano calmandosi, però, il petto di Feliciano ed il suo ventre, in particolare, stavano ribollendo di eccitazione e calore.
“Luise...” sussurrò appena, e lei si voltò a guardarlo con occhi semichiusi, appagati, le guance rosse di piacere. Non sapendo resistere a quella vista, la baciò ancora, a fondo, allungandosi sopra di lei, strofinando il suo inguine contro la coscia della ragazza, pieno di desiderio.
Quando si staccarono dal bacio, sembrava di nuovo imbarazzata. Con cautela, gli aveva accarezzato la schiena ed il sedere, ed ora, incerte, le sue mani stavano pian piano circumnavigando le sue anche. Sotto i boxer, Luise toccò improvvisamente la protuberanza dell'erezione, e serrò le labbra per la sorpresa, mentre a Feliciano sfuggiva un debole gemito di piacere.
“Feliciano... cosa devo... uh, fare...?” distolse lo sguardo, rossa fino alla punta del naso.
Il ragazzo, dal canto suo, cominciava a perdere la capacità di intendere e di volere.
“Quello che vuoi, tutto quello che vuoi.” le rispose onestamente, cercando di baciarla ancora, ma Luise si ritrasse.
“Ce l'hai un... un preservativo?” chiese incerta.
Feliciano sbatté le palpebre. Oh... oh. Quindi era un invito a...?
“Sì, direi di sì.” Ne aveva una scatola intera, nel cassetto del comodino.
Luise corrugò le sopracciglia. “Ah. E con chi pensavi di usarlo?”
Feliciano boccheggiò. “Ma... non lo so. Li avevo comprati tempo fa, non mi ricordo, li avevo presi se in caso...”
Luise lo guardò male. In caso cosa?
Tuttavia, nella situazione in cui erano, non le pareva il caso di andare per il sottile.
“Va bene, piantala e recuperali.” commentò secca.
L'altro scattò da sotto le coperte e si affrettò ad eseguire gli ordini.
Poco dopo, i boxer di Feliciano erano sul pavimento assieme all'involucro del preservativo, ed i due si ritrovavano più o meno incastrati al riparo del piumino, le gambe di Luise divaricate per lasciare spazio al bacino di Feliciano, che la osservava tentando di reprimere il desiderio.
“L-lo sai che farà un po' male, vero?”
“Sì, grazie, Feliciano, ho fatto educazione sessuale a scuola.”
“Ma ci sarà d-del sangue.. insomma, io non voglio farti male e...”
“Oh, ma dai, sangue. Che sorpresa.” commentò ironica, sopracciglia alzate. Come se non ci fosse abituata, ogni mese.
Feliciano quasi tremava. In realtà, la voleva con tutte le proprie forze; inoltre, sapeva che il suo amico, più in basso, stava per perdere la pazienza. Chinò la testa e la baciò, mentre le sue dita tornavano ad esplorarle il ventre, penetrandola appena e constatando come fosse ancora piacevolmente bagnata.
Quando a quelle dita ormai famigliari si sostituì la sensazione di qualcosa di più grosso, Luise tornò ad irrigidirsi. Feliciano le baciava il collo con dedizione, premendo appena, sussurrandole in tono implorante di rilassarsi e di lasciarlo entrare.
Luise chiuse gli occhi, inspirando profondamente, e Feliciano slittò avanti. Il dolore la colse all'improvviso, insieme alla sensazione che una parte di lei venisse lacerata, penetrata da mille aghi. Serrò i denti, aggrappandosi alle spalle di Feliciano, ma il dolore non durò molto a lungo. Con un sospiro, il ragazzo entrò completamente dentro di lei, tenendole stretti i fianchi.
“Fa molto male?” le chiese sottovoce, preoccupato.
“No.” rispose secca, ma accarezzandolo sulla guancia. Lui le sorrise, iniziando a spingere piano. I suoi buoni propositi non tennero per molto, tuttavia, e il ritmo aumentò subito dopo. Luise strinse le dita sul lenzuolo, sorpresa, incrociando le gambe sulla sua schiena.
Feliciano aveva il respiro corto, e sussurrava il suo nome come una richiesta d'aiuto mentre, sotto di loro, il letto tremava appena. Luise lo tenne stretto, baciandogli il collo e la mandibola, il corpo leggermente confuso da quello che stava accadendo. Non faceva più male, ormai, anzi, quell'avanti e indietro concitato stava iniziando a farsi piacevole; sospirò, tentando di afferrare la bocca di Feliciano per un bacio, ma senza riuscire a trattenerlo a lungo. Il ritmo delle sue spinte si faceva più intenso, e Luise osservava quasi con tenerezza i lineamenti del ragazzo trasfigurati dalla foga.
“Luis-” l'ennesima invocazione del suo nome, ad un tratto, venne interrotta da un gemito rauco. Feliciano penetrò in lei ancora una volta, in profondità, e poi rimase fermo, mentre Luise gli accarezzava piano la schiena ancora tremante di piacere.
Dopo qualche attimo, Feliciano si staccò da lei e le rotolò accanto, riprendendo fiato. La ragazza si voltò su un fianco per osservarlo e scostargli qualche ciocca di capelli dalla fronte. Lui le sorrise e, di nuovo, le baciò le dita.
“Sei bellissima.” le disse poi.
Luise sorrise timidamente, accavallando le proprie gambe con le sue, ma Feliciano sembrò ricordarsi di una cosa, e si alzò dal letto.
Preso un fazzoletto dal comodino della ragazza, si tolse il preservativo e si ripulì in fretta, gettando tutto nel cestino prima di tornare a coricarsi vicino a lei.
“Io, uhm, non sono durato molto, scusa.” borbottò imbarazzato, nascondendo il viso nel suo petto.
Luise arrossì, senza sapere cosa rispondere. Personalmente, non aveva idea di che cosa fosse “molto” o “poco”, in quel contesto.
“Questo non importa se... se ti è, insomma, piaciuto.” rispose timidamente.
“Eh? Ma certo!” le prese la testa tra le mani per baciarla sul naso. “E' stato fantastico. Io sono innamorato di te, Luise!” le disse tempestandole di baci la fronte.
Lei chiuse gli occhi sotto tutti quei baci, imbarazzata dalla dichiarazione.
“A-anch'io, Feliciano.” rispose, stupendosi quasi della facilità con cui era riuscita ad ammetterlo.
Lui sorrise, estasiato, e la baciò ancora, ma lei si ritrasse.
“Un tempismo pessimo per innamorarci, comunque.” sentenziò lei tetra, e lui poggiò la fronte contro la sua, sospirando un “lo so”.
Dopo un po' che stavano così abbracciati, Feliciano tornò a parlare.
“Ti ricordi quando ho buttato via gli spaghetti che avevi cucinato, quest'autunno?” chiese.
Luise annuì, sorridendo suo malgrado. E come avrebbe potuto dimenticarselo?
“Vedi, credo che fare l'amore ed innamorarsi sia un po' come cucinare gli spaghetti. Devi aspettare che l'acqua stia bollendo al punto giusto, e di aver aggiunto il sale. Solo allora li puoi buttare. Se li metti insieme all'acqua quando è ancora fredda, vien fuori solo una pappa molliccia.” disse, con il tono di chi stava impartendo una grande lezione di saggezza.
Luise sollevò un sopracciglio, non proprio convinta del paragone, ma poi ridacchiò. Se il giorno in cui le aveva buttato via la pasta Feliciano avesse provato anche a darle un bacio, Luise avrebbe probabilmente chiamato la polizia.
Si strinse a lui, e dopo poco tempo erano entrambi addormentati, cullati ciascuno dalle braccia dell'altro.
Feliciano è partito questa mattina.
La casa vuota non mi piace, ma dovrò farci l'abitudine.
E' strano pensare come nemmeno un anno fa detestassi l'idea di doverla condividere con qualcuno che non fosse mia sorella, come pensavo di non resistere per un anno intero al fianco di Feliciano.
Adesso, invece, sarei felice di farlo, e non solo per un anno...
Andrò a trovarlo durante le vacanze di Pasqua, che per fortuna cadono tra poche settimane, e sono già stata invitata a Roma per quest'estate.
Credo inoltre che al ristorante saranno felici di assumerlo di nuovo, quando suo padre starà meglio e lui potrà tornare a Berlino, e – inutile dirlo – io aspetterò con ansia quel momento. Sono pochi mesi rispetto agli anni che ho passato senza di lui e a quelli che programmo di passarci insieme.
Nel frattempo, sto diventando brava a cucinare, e i miei spaghetti ormai vengono sempre belli al dente. Sembrava facile, cucinare la pasta, ma ho come il sospetto che anche in cucina non basti unicamente attenersi ai manuali per riuscire ad eccellere nel risultato. Feliciano ha un tocco magico – in questa come in altre cose – e io non saprò mai eguagliarlo, ma i suoi pranzi mi mancano già.
Sono diventata schizzinosa rispetto ad un sacco di cose, da quando l'ho conosciuto, ma in particolare rispetto alla cottura degli spaghetti.
~*~
Tschüss: ciao
Verdammt: dannazione
Sprichst du Deutsch?: parli tedesco?
Nur ein bisschen: solo un po'
Willkommen in Deutschland: benvenuto in Germania
Nein. Nicht gut: no. male.
Ich mache gute Pasta, ja: Faccio pasta buona (Feliciano sta parlando male)
Verboten: proibito
Ich mache gute Pasta, ja? Sehr gut, okay? Bitte warten Sie!: faccio pasta buona, sì? Molto buona, okay? Per favore aspettate!
Scheisse: merda
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Luise, Feliciano, minori apparizioni di: Julchen, Antonio, Lavinia.
Rating: rosso
Conteggio parole: 7863 (fdp)
Genere: sentimentale, commedia, slice of life
Avvertenze: AU, genderbender, masturbazione e scene lemon
Riassunto: quando la sorella parte per passare un anno all'estero, Luise, studentessa universitaria a Berlino, si vede costretta a condividere il suo appartamento con Feliciano. All'inizio, appare chiaro che la ragazza non riuscirà mai a resistere per un anno nello stesso appartamento con un tipo come lui, ma, man mano che passano i mesi, avrà tutto il tempo per cambiare idea.
Note: partecipa alla sesta settimana del COWT2 @
![[info]](https://lontano-lontano.livejournal.com/img/community.gif?v=88.9)
Purtroppo ho dovuto finire questa storia in fretta e furia - il conto alla rovescia per il postaggio del COWT è sempre una spada di Damocle, ma mi dispiace di non essere riuscita a sviluppare meglio la parte dell'impatto culturale di Berlino su Feliciano. Se avrò tempo, mi piacerebbe riprenderla in mano e farne uscire qualcosa di più articolato.
(Il p0rn c'è perché quello notoriamente si scrive da solo e aumenta il wordcount ù.ù)
Il telefonino vibrava con insistenza sul piano della scrivania. Luise Weilschmidt, intenta a compilare una dettagliata lista dei libri che doveva acquistare per il semestre universitario, gettò all'apparecchio un'occhiata stizzita. Sullo schermo dell'iPhone era apparsa la foto di una ragazza sorridente e con capelli chiarissimi, quasi bianchi. Julchen Weilschmidt (perché Luise salvava sempre i contatti con nome e cognome, anche quando si trattava della propria ed unica sorella).
"Indovina indovinello, sorellina! Ti ho trovato un coinquilino!"
"Oh."
No, Luise non era entusiasta della notizia.
Quando la ragazza che sarebbe dovuta venire a vivere nella stanza della sorella aveva disdetto a causa di motivi famigliari, Luise aveva segretamente tirato un sospiro di sollievo. Era abituata a vivere con sua sorella Julchen da, beh, quando era nata, e quando si era trasferita nel suo appartamento di Berlino per studiare all'università come lei, nonostante Julchen fosse un temperamento estroverso e... rumoroso, beh, Luise si era adeguata alla convivenza.
Quell'anno, però, Julchen lo avrebbe passato all'estero: vincitrice di una borsa di studio per passare due semestri in Canada, la sorella aveva fatto le valigie alla velocità della luce e si era fiondata sul primo aereo, lasciando a Berlino Luise ed una stanza vuota.
Luise sapeva che una stanza vuota significava parte dell'affitto scoperto, ma significava anche pace e tranquillità, cose che lei non disprezzava affatto.
La disdetta della potenziale coinquilina, quindi, l'aveva fatta sperare di un periodo di studio pacifico e di vita dettata dai suoi ritmi soltanto.
A quanto pare, invece, Julchen era riuscita a risolvere il "problema".
"Non ti sento felice. Tsch, lo sapevo, speravi di poterti rinchiudere in casa a fare l'eremita ed a studiare per tutto l'anno, vero? Beh, mi dispiace per te, ma la tua magnifica sorella ti ha trovato compagnia."
Luise non rispose alla provocazione della sorella.
Sì, aveva una predilezione per la solitudine, e allora?
"Chi è?"
"Oh, è il fratello della ragazza di un mio amico. Viene qui per lavorare, non trovava casa e non poteva fare il terzo incomodo a casa loro per sempre, ovviamente... così gli ho detto che c'era camera mia libera, e che anche mia sorella lo era, kesesese!"
"JULCHEN!"
"Scherzo, scherzo!"
"...ma insomma, è un ragazzo?!"
"Ja... che c'è, ti imbarazza? Ho pensato che saresti stata grande abbastanza per tenere a bada un ometto." rispose placida l'altra.
"Julchen! Avremmo dovuto deciderlo insieme, io non so se..."
"Oh. Devo andare." dall'altra parte della linea, c'era un improvviso rumore d'auto. "Credo che arrivi già stasera. Aprigli, eh. Tschüss~"
Prima che Luise potesse replicare qualsiasi cosa, la telefonata era finita.
Verdammt.
17 settembre
Caro diario,ieri sera è arrivato il nuovo coinquilino. Si chiama Feliciano Vargas ed è italiano. Quando gli ho chiesto cos'era venuto a fare qui, ha risposto: "la pizza". Ti pareva.
Parla un pessimo tedesco e ha delle maniere fastidiose. Inoltre, stamattina uscendo ha lasciato le pantofole sparse in ingresso, che quasi ci inciampavo. Quando torna dal lavoro devo proprio parlargli.
21 settembre
Caro diario,questo nuovo coinquilino dorme tutto il giorno e lavora tutta la notte, o qualcosa del genere. So che esiste perché lascia il copri water alzato e si dimentica le tazze nel lavandino. Ieri gli ho lasciato una nota, sul tavolo, ma non è servito a nulla. Credo che usi il fatto di non conoscere il tedesco per giustificarsi delle sue maniere incivili.
Vivere con un uomo è impossibile, io per un anno non resisto.
25 settembre
Caro diario,tutto questo è inammissibile.
Ieri mattina è capitato qualcosa di davvero indecente. Ero rimasta a casa perché non c'era lezione ed ero entrata in bagno per lavarmi il viso. Avevo chiuso la porta, ma non a chiave – maledizione, non mi ero nemmeno accorta che quell'idiota del coinquilino fosse ancora addormentato, era quasi ora di pranzo! Credevo fosse uscito presto!
Ero intenta ad applicare la mia solita maschera idratante, quando ecco che quell'imbecille spalanca al porta senza nemmeno bussare! E pensa come osa presentarsi in bagno, questo: NUDO. Non aveva nemmeno le mutande!!! Se ne stava lì sulla soglia rimbambito e con l'accappatoio in mano. Per fortuna avevo troppa crema in faccia e non potevo tenere gli occhi aperti, quindi non ho visto bene, ma come si è permesso?! Ho urlato così tanto che è tornato di corsa in camera sua e non si è più fatto vedere. La prossima volta saprò difendermi con la lima per le unghie.
Nel momento in cui Feliciano aveva risposto che era venuto a Berlino a fare "la pizza", intendeva in realtà dire che era venuto a lavorare nello stesso ristorante italiano dove lavorava anche sua sorella più grande, Lavinia. Purtroppo, era vero che Feliciano non sapesse bene il tedesco: quel poco che aveva imparato lo doveva alle stagioni che aveva fatto lavorando negli alberghi in Alto Adige, ed erano soltanto le frasi base che gli consentivano di capire i clienti che, in Birkenstock e calzini, gli ordinavano pizza e lasagne.
Quando Luise gli aveva aperto la porta, Feliciano aveva fatto del suo meglio per farsi capire, ma la ragazza non sembrava particolarmente interessata alle sue vicissitudini.
"Sprichst du Deutsch?" gli aveva chiesto dopo un po', uno sguardo assassino negli occhi.
Feliciano aveva ridacchiato, sfoderando la sua frase di emergenza. "Nur ein bisschen."
L'altra aveva sospirato e aveva lasciato perdere ogni tentativo di fare conversazione. In effetti, Feliciano non pensava che fosse molto socievole... anzi, gli pareva un poco ostile.
Un poco.
Così, i primi giorni il giovane li aveva passati più al ristorante che non nel suo nuovo appartamento. Lavinia lavorava come cameriera, mentre il suo ragazzo, Antonio, uno spagnolo sempre sorridente e dal riso facile, faceva il barista.
Feliciano non sapeva nemmeno lo spagnolo, ma viste le affinità tra questa lingua e l'italiano, alla fine non era affatto difficile capirsi, e l'ambiente del ristorante era decisamente più accogliente della casa doveva aveva trasferito i suoi pochi possedimenti. Così, per le prime due settimane circa, lui e Luise quasi non si incrociarono (e, quando lo fecero, non fu un'esperienza piacevole per nessuno dei due).
Feliciano tornava a casa a notte tarda, quando la ragazza aveva spento la luce già da un bel po', e si alzava tardi, quando lei era già uscita per andare a lezione. Più di una volta, l'italiano aveva trovato dei biglietti sparsi a casa: sulle pantofole, sul lavandino di cucina, sugli spazzolini in bagno.
Erano scritti con una calligrafia ordinata, ma erano in tedesco, e lui non aveva nemmeno un vocabolario: se li era portati al lavoro per farli vedere ad Antonio, che viveva a Berlino ormai da quattro anni ed il tedesco lo sapeva molto bene, e lui si era messo a ridere.
"Willkommen in Deutschland!" gli aveva detto con una pacca sulla spalla. "Pare che la tua amica qui sia una maniaca dell'ordine. Ricordati di mettere le tazze a posto e di indossare le mutande fuori dalla doccia, e dovresti cavartela."
A parte i bigliettini minatori, comunque, le interazioni tra i due neo coinquilini furono praticamente nulle fino a che il giorno libero di Feliciano non venne a coincidere con uno di quelli in cui Luise non aveva lezione.
Anche nei giorni in cui non doveva andare all'università, la ragazza aveva l'abitudine di svegliarsi presto per fare i suoi esercizi di stretching e per studiare. Alle 7 in punto, fece capolino dalla sua stanza per andare in bagno e a fare colazione, indisturbata nel silenzio della casa. La porta di Feliciano era chiusa e non c'era luce che proveniva dalla serratura, segno che le tende erano tirate e che l'altro era profondamente addormentato.
La situazione non era cambiata quando, verso mezzogiorno, Luise entrò in cucina per andare a cucinarsi qualcosa. L'arrivo dell'italiano aveva comportato l'improvvisa comparsa, negli armadietti della cucina, di una serie di confezioni di pasta e sughi di ogni tipo, che Luise ogni tanto sbirciava con malcelata curiosità. Alla fine, un paio di giorni prima, al supermercato aveva infilato nel cestino anche una confezione di spaghetti, che era poi l'unico tipo di pasta che le era famigliare.
Prese la pentola, la riempì d'acqua, ci ficcò gli spaghetti e accese il fuoco.
Di là, si sentirono i primi segni del risveglio del coinquilino: sbadigli, tende tirate, un piede sbattuto contro una sedia e un gemito di dolore.
Luise sentì che usciva dalla stanza e andava in bagno: dopo pochi attimi, si udì lo scorrere dell'acqua della doccia. Lei si rilassò, ben barricata nella sua piccola cucina, lasciando che gli spaghetti si snodassero pigramente nell'acqua bollente. Quando le sembrarono sufficientemente morbidi, Luise scolò il tutto (per correttezza, non prese a prestito lo scolapasta dell'italiano, ma fece buon uso del coperchio della pentola), trasferì la pasta nel piatto e corredò il tutto con una abbondante colata di rosso ketchup.
(Nel frattempo, aveva sentito la porta del bagno richiudersi, e l'altro dirigersi di nuovo dentro la sua stanza fischiettando.)
Proprio quando Luise stava per iniziare a mangiare, però, la raggiunse la suoneria del telefono. La ragazza sospirò pesantemente, alzandosi da tavola per andare a vedere chi la cercava.
Per fortuna, era solo un compagno di corso che chiedeva chiarimenti sull'orario di una lezione – Luise aveva sempre tutto sotto controllo, consegne, date di scadenza e spostamenti di lezioni, e questo la rendeva la vittima preferita degli studenti più distratti.
Luise riappoggiò il telefono sulla scrivania, borbottando tra i denti che lei non era la segretaria di tutta l'università, e che certe persone erano grandi abbastanza per segnarsi le cose sull'agenda, quando sentì un grido provenire dalla cucina.
Allarmata, si precipitò fuori, chiedendosi se per caso quello svampito del coinquilino fosse scivolato o si fosse ferito con un coltello (nonostante fosse un cuoco, sembrava il tipo da finire male in modi del genere) e aspettandosi già di trovare pavimento e mobili inondati di sangue.
Quello che trovò, invece, era il succitato coinquilino, seminudo, in piedi vicino al tavolo dove Luise aveva apparecchiato per sé.
“Che cosa c'è?” fece, sempre allarmata, guardandosi intorno e aspettandosi di trovare chissà cosa.
“G-gli spaghetti...” replico quello, alzando la mano tremante verso il piatto di pasta.
Luise alzò un sopracciglio, severa. L'altro aveva parlato in italiano, ma non le era stato difficile capire che cosa aveva detto.
“Beh? Che hanno fatto, si muovono da soli? E per favore, mettiti una maglia.”
Per lo meno, aveva i boxer, ma Luise avrebbe gradito che si indossasse più di un indumento, alla sua presenza.
Feliciano la guardò stralunato. Ai suoi occhi, la sostanza bianchiccia e collosa che riempiva il piatto sarebbe stata già abbastanza orrenda così, e l'aggiunta di quella colata di ketchup rendeva il quadro ancora più inquietante e terribile.
“E'... è ketchup.”
“...sì.”
“N-non lo metti, il ketchup sulla pasta... nein. Nicht gut.” fece Feliciano nel panico, tentando di esprimersi a gesti.
Luise roteò gli occhi, spostando la sedia e tentando di sedersi, ma in quella il suo telefono tornò a squillare. Sbuffando, lanciò un'occhiata all'italiano, che stava ancora lì con la pelle d'oca (per forza! Che si vestisse!) a fissare gli spaghetti, e tornò in camera, per rispondere a tono a quella che si rivelò essere un'ennesima sfilza di quesiti sugli orari delle lezioni. Ma la gente li leggeva, gli avvisi, o cosa?
Quando tornò in cucina, però, il suo piatto era sparito – o meglio, il piatto in sé c'era ancora, solo che era vuoto.
“Tu...” lanciò un'occhiata malvagia a Feliciano, che nel frattempo si era messo ai fornelli, e dallo sguardo colpevole che l'altro le rivolse seppe che aveva ragione. Alzò il coperchio del cestino e non fu sorpresa di trovarvi i suoi spaghetti, che tristemente si allungavano come pallidi tentacoli su per le pieghe del sacco di plastica, implorando di essere riportati alla luce.
Richiuse il coperchio, guardando in faccia l'italiano, sentendosi diventare rossa di rabbia.
“Perché me l'hai buttato, si può sapere?!” fece, cercando di trattenere uno scoppio d'ira.
L'altro – che pur non avendo capito le parole esatte, sapeva benissimo a cosa lei si stesse riferendo – si esibì in quello che sperava essere un sorriso conciliante.
“Ich mache gute Pasta, ja?” rispose, indicando la pentola.
“Gute pasta col cavolo! Non puoi andare in giro a buttare via il cibo della gente! E poi, non puoi andartene in giro in mutande!” sbottò lei, un indice puntato verso Feliciano.
L'altro tremò visibilmente, nascondendosi dietro il mestolo.
“Stammi bene a sentire, dobbiamo mettere in chiaro che in questa casa ci sono delle regole e che queste vanno rispettate! Prima di tutto, buttare il mio cibo nel cestino è verboten! Secondo, girare per la casa con solo le mutande è verboten! Girare senza mutande è ancora più verboten! E poi...”
Nel frattempo, Luise si era resa conto che l'altro davvero non la stava seguendo.
“...vestiti, almeno.” sibilò, le braccia incrociate sul petto.
Finalmente, Feliciano sembrò afferrare, e si guardò intorno preoccupato, finché i suoi occhi non incontrarono un grembiule, che lui si infilò prontamente.
Una volta legato dietro la schiena e sul collo, si voltò verso l'altra con un sorrisone.
“Ich mache gute Pasta, ja? Sehr gut, okay? Bitte warten Sie!” sproloquiò, esibendo un sorrisone smagliante e girando ben in su i pollici di entrambe le mani.
Luise collassò sulla sedia con un sospiro.
No, come aveva già previsto fin dal principio, lei non avrebbe resistito per un anno interno, assolutamente no.
Lanciandole ogni tanto qualche occhiata apprensiva, Feliciano nel frattempo pregava con tutte le sue forze il dio degli spaghetti affinché desse la forza all'acqua di bollire più in fretta ed alla pasta di cuocersi prima.
Detestava il fatto di essere stato costretto ad agire così – ma quell'abominio nel piatto della tedesca non poteva esistere. Scotti, collosi, insudiciati dal ketchup: non erano più spaghetti, quelli.
No, ci avrebbe pensato lui a far mangiare alla signorina un piatto di pasta decente. Era la sua specialità, no?
Riuscì a scolare la pasta prima che lei decidesse di usarlo per testare l'affilatura dei coltelli da cucina. Non c'era stato il tempo per fare condimenti elaborati, ma Feliciano sapeva rendere gustoso anche un semplice sugo al pomodoro.
In più, sembrava davvero che la ragazza seduta al tavolo avesse delle papille gustative decisamente fuori allenamento, e Feliciano sapeva che questo giocava sempre a suo favore.
“Et voilà!” canticchiò, facendo atterrare con disinvoltura il piatto, nuovamente pieno, di fronte alla bionda. L'occhiata che lei gli restituì gli fece morire in gola qualsiasi altro commento, e Feliciano si limitò a servire se stesso e a sedersi a sua volta (rigorosamente all'altro estremo del tavolo – anche se, piccolo com'era, la distanza tra i due non era tale da potersi definire “di sicurezza”).
Luise gli rivolse uno sguardo acido, tentando forse di distrarlo dal fatto che non riusciva ad arrotolare gli spaghetti intorno alla forchetta, dando perfettamente ad intendere che non le piaceva essere osservata mentre falliva nel tentativo. Capita l'antifona, Feliciano riportò gli occhi sulla sua pasta, e si mise a mangiare di buona lena.
Luise seguì con occhi freddi ma, sotto sotto, quasi ammirati, l'abilità e la velocità delle dita che facevano roteare tra loro l'impugnatura della forchetta, che danzava quasi tra gli spaghetti, mentre questi si lasciavano arrotolare tra i denti di metallo docilmente.
Con calma, provò a fare le stessa cosa, e il tentativo risultò in una serie di gocce di sugo sul bordo del piatto e sul tavolo. Al secondo tentativo, la massa di spaghetti sembrava reggersi bene attoro alla forchetta, ma cedette prima che riuscisse a raggiungere la sua bocca, lasciando una traccia di rosso pomodoro lungo il mento e le dita.
“...scheisse.”
Ora, perché mai una cosa semplice come mangiare un piatto di pasta sembrava essersi trasformata in una sfida all'ultimo sangue?
E, peggio ancora, l'altro la stava guardando e stava, senza dubbio ridendo di lei. Arrossì, arrabbiata ed in imbarazzo.
In effetti, Feliciano stava sorridendo, ma il suo non era un sorriso di scherno. Era semplicemente felice di aver scoperto un insospettato lato grazioso nella sua coinquilina, che fino a quel momento gli era apparsa come un'amazzone fredda e spietata. Mentre era lì che cercava di pulirsi il sugo dal mento, le gote rosse di vergogna, Feliciano ammise a se stesso che sì, era davvero carina.
Che avesse un bel fisico lo aveva notato dal primo istante, naturalmente – soprattutto la sua zona petto... quella era decisamente, decisamente interessante, ve.
Ma il suo tono di comando ed i suoi modi bruschi avevano scoraggiato Feliciano da qualsiasi approccio amichevole nei suoi confronti, figuriamoci flirtereccio!
“Piantala di guardarmi con quell'aria da rimbambito, chiaro?!” scattò lei, agitando un indice nella sua direzione, miacciosa.
Feliciano rise, tornando a mangiare, sempre osservandola di sottecchi per scoprire che anche il nuovo tentativo di mangiare quei benedetti spaghetti era finito in un bagno di sugo. A quel punto, il ragazzo si alzò e le andò accanto.
Sulle prime, Luise fece per ritrarsi – che cosa ci faceva così vicino a lei, e per di più senza indossare nemmeno una maglietta?! - ma poi lui le coprì la mano con la sua, facendole girare piano le dita e infine accompagnandogliela gentilmente mentre si portava la forchetta verso la bocca. Il tutto era accaduto troppo in fretta perché Luise potesse ribellarsi (e no, non era stata minimamente distratta dal profumo di doccia schiuma e dopobarba che emanava la pelle di Feliciano) e quando si ritrovò gli spaghetti ad un millimetro dalla bocca, be', non poté fare altro che mangiarli, tentando di ignorare, paonazza in viso, come sembrasse che Feliciano la stesse imboccando.
Un attimo dopo, fu nuovamente distratta dal sapore.
“Oh... è buono.” fece sorpresa, sempre masticando.
Lanciò un'occhiata sospettosa a Feliciano, che si strinse nelle spalle, sorridendo. Del resto, era o non era un cuoco?
Il pranzo proseguì in silenzio, e Luise finì il suo piatto di gran lena, finendo col non curarsi più delle gocce di sugo sul mento.
Feliciano, dal canto suo, la guardava soddisfatto: la sua cucina era stata più di una volta il metodo giusto per farlo avvicinare ad una ragazza, ed anche questa volta sembrava aver colto nel segno.
19 ottobre
Caro diario,Feliciano cucina davvero bene. Questa è la terza volta che cucina anche per me, durante il suo giorno libero, e prepara sempre piatti eccellenti. Almeno sembra sia bravo nel suo lavoro – il che spiega come non lo abbiano ancora rimandato a casa, visto che per il resto continua ad essere sciatto.
Fortunatamente, ora si ricorda sempre di indossare le mutande. Gli altri vestiti sono sempre un optional ma almeno sulle cose di base sembra che ci siamo.
Abbiamo fatto conversazione, a pranzo. Sembra che il suo tedesco stia migliorando.
2 novembre
Caro diario,anche se cucina bene, Feliciano è un cafone.
L'altra notte – erano le quattro di mattina, un orario indecente per tornare a casa! - me lo sono ritrovata nel mio letto!
L'ho svegliato a suon di urla e tutto quello che ha saputo dirmi è stato che c'era stata un piccola festicciola al ristorante, che aveva bevuto troppo e che aveva sbagliato porta. Se non altro sembra che il suo tedesco fosse bello sciolto, nonostante l'alcool, perché ha parlato con un uso proprio della lingua.
La prossima volta torno alla mia lima per unghie.
28 novembre
Caro diario,io non so che clima ci sia, in Italia, ma questo scemo non ha idea di che cosa significhi l'inverno a Berlino. Ha un cappottino tutto elegante che gli starà anche bene, ma sicuramente non scalda.
10 dicembre
Caro diario,come volevasi dimostrare, si è preso l'influenza. Ho chiamato io per lui al lavoro, stamattina, per comunicare che non sarebbe andato, e mi ha risposto la sorella. Sembrava arrabbiatissima, perfino con me, nemmeno fosse colpa mia se quel genio del fratello si è ammalato. Ora sarà meglio che vada a fargli un tè caldo. E' meglio che rimanga a letto, con la febbre che ha.
12 dicembre
Caro diario,mi chiedo quale sia il problema della sorella di Feliciano. Visto che stava ancora male, ieri mattina è venuta a trovarlo, e io mi sono beccata una serie di insulti incomprensibili senza motivo. Credo c'entrassero wurstel e patate, ma non ne capisco il motivo. Comunque, non credo di starle simpatica.
L'inverno a Berlino era decisamente gelido. A gennaio, la temperatura era caduta diversi gradi sotto lo zero e spesso soffiava un forte vento gelato che penetrava astutamente sotto ogni strato di vestiti.
Feliciano e Lavinia erano riusciti a tornare per qualche giorno a Roma dalla famiglia, sotto Natale, e lo sbalzo impietoso di temperature non aveva aiutato la salute di nessuno dei due.
Feliciano era riuscito ad ammalarsi ben tre volte, entro la fine di gennaio, nonostante il grosso cappotto che aveva acquistato dopo la prima influenza, ed erano di più le settimane che aveva passato impasticcandosi di antibiotici che no.
Era febbraio, ora, e dopo alcuni giorni di cielo plumbeo e coperto la temperatura si era alzata. Verso ora di cena, si era alzato un vento impietoso ed aveva cominciato a piovere. Le gocce erano stiletti di acqua gelida che si riversavano impietosi sui rari passanti fuori dal ristorante.
Per l'ora di chiusura, il tempo non era affatto migliorato, e la pioggia insistente aveva formato larghe pozze sul marciapiede ed ai lati della strada.
Feliciano ed Antonio si affacciarono sulla soglia, intabarrati in sciarpe e berretti, incerti sull'uso che dovevano fare dell'unico ombrello che possedevano. Neanche a dirlo, la stazione della metro era ad un isolato di distanza, e i due dovevano andare in direzioni diametralmente opposte.
“L'ombrello è tuo, Antonio, io posso fare una corsa fino alla metro e...”
“Ma sei matto? Sei appena tornato al lavoro, se ti ammali di nuovo tua sorella mi uccide!”
“Feliciano.”
Entrambi gli uomini fecero un salto, voltandosi di scatto verso la figura che aveva parlato all'improvviso.
“...L-Luise?”
La ragazza era comparsa dal nulla – o meglio, dalle ombre di una pensilina del tram dietro l'angolo – ed aveva il volto semicoperto dal cappuccio e dal bavero del cappotto, tirato su fino a nascondere il naso. I suoi occhi color ghiaccio li fissavano, diffidenti e decisi. Feliciano si ritrovò ad indovinare che, sotto gli strati di lana, le guance della ragazza erano di un bel color porpora.
“Chi sennò, testa di rapa. Ti ho portato un ombrello.” disse semplicemente, allungandoglielo.
Feliciano ed Antonio si guardarono, e poi guardarono lei. Nello stesso istante in cui Antonio cominciava a ridacchiare deliziato, l'altro prese a gesticolare con grande preoccupazione.
“Ma Luise! Cosa ci fai qui a quest'ora? E' tardi! Non avresti dovuto preoccuparti per me, ve! E poi girare da sola di notte... avresti potuto almeno entrare nel ristorante!”
Lei distolse lo sguardo, apparentemente infastidita da tutta quell'ansia.
“Sciocchezze. Andiamo, dai.” fece, facendo per muoversi.
Feliciano sospirò, sorridente.
“Ja~ Grazie. Buonanotte, Antonio! Direi che puoi tenere l'ombrello!” fece Feliciano, avviandosi dietro a Luise.
“Buonanotte a voi!” salutò Antonio con ampi gesti della mano, incamminandosi nella direzione opposta e con un grande sorriso sulla faccia.
“Sei stata gentile a preoccuparti per me.” disse Feliciano mentre camminavano verso la fermata della metro. “Anche se di solito dovrebbero essere i ragazzi ad aspettare le signorine con un ombrello sotto la pioggia.”
“Ma piantala di dire scemenze. Non ricordi l'ombrello per te, non credo ti ricorderesti di portarlo a nessun altro.” sbuffò lei, scrollando le spalle. “E poi, se ti avessi fatto tornare a casa sotto la pioggia e ti fossi ammalato di nuovo, avrei finito con l'essere ammazzata da sua sorella, il che non rientra nei miei piani.” replicò aspra.
Feliciano annuì, chiedendosi se davvero sua sorella incutesse così tanto timore a Luise da costringerla ad uscire nel mezzo della notte per venire a recuperarlo.
“Fa freddino, eh?” fece lui giulivo.
“...è inverno.” commentò secca l'altra.
Feliciano ridacchiò, prendendola sottobraccio mentre scendevano i gradini della fermata della metropolitana. Luise sbuffò ma non si ritrasse, e quando si sedettero l'uno accanto all'altro sul treno, e lui le appoggiò la testa sulla spalla, sospirando di stanchezza ma anche di soddisfazione, lei appoggiò a sua volta la guancia sui suoi capelli. Rimasero così finche il treno non raggiunse la loro fermata.
23 febbraio
Caro diario,Feliciano è tornato in Italia ieri. Suo padre si è sentito male ed è ricoverato in ospedale, a Roma. Non mi ha ancora telefonato e non so niente su come stia e su che cosa sia successo. L'ho accompagnato all'aeroporto ieri mattina alle 6. Mi sto portando il cellulare anche in bagno per poter rispondere subito se mi chiama.
28 febbraio
Caro diario,sembra che il padre di Feliciano stia meglio, ma la convalescenza sarà lunga. Lui dice di non riuscire a tornare per almeno altre due settimane. Sua sorella è già dovuta rientrare, invece, ma probabilmente ritornerà a Roma quando lui verrà qui a Berlino.
Spero davvero che suo padre si rimetta in fretta e che Feliciano possa tornare presto.
3 marzo
Caro diario,oggi a pranzo ho provato a fare la parmigiana di melanzane come mi aveva fatto vedere Feliciano. Mi è venuta tutta bruciata e non assomigliava minimamente a quella delizia che mi ha preparato lui il mese scorso.
Ammetto che mi mancano i pranzi che facevamo insieme almeno una volta a settimana.
Sì, ammetto che mi manca anche lui.
7 marzo
Caro diario,Feliciano mi ha telefonato stamattina per dirmi che tornerà tra cinque giorni. Sono contenta che suo padre stia abbastanza bene e che lui possa tornare.
Quella sera stessa, Luise si sentiva particolarmente sola. Improvvisamente, quei cinque giorni che la separavano dal ritorno di Feliciano sembravano un tempo infinito. Vagò per la casa, annoiata e nervosa. Era tardi, ma non aveva voglia di andare a dormire. Tra sé e sé, maledisse Feliciano per il fatto che, in un modo o nell'altro, riusciva a tenerla sempre sveglia la notte.
Alla fine, entrò in camera sua. Non si era permessa di toccare niente, lì dentro, salvo piegare i vestiti che il ragazzo aveva lasciato alla rifusa sul letto mentre, in fretta e furia, preparava la valigia la notte prima di prendere l'aereo. Aveva rifatto il letto, anche, ma per il resto non vi era più entrata.
Amava che la sua privacy venisse rispettata, e faceva altrettanto con quella altrui, di solito. Quella sera, però, la fitta di nostalgia che le aveva chiuso il petto richiedeva di essere curata in qualche modo.
Si sedette sul letto, guardando le due foto che Feliciano teneva sulla scrivania confusionaria. Una rappresentava lui e Lavinia da piccoli, insieme ai loro genitori. Erano al mare, ed i due bimbi erano seduti vicino ad un castello di sabbia adornato di conchiglie. Feliciano indossava un cappellino bianco, un po' troppo grande per lui, ed un costumino a righe azzurre.
L'altra era una foto di quella che sembrava una cena di classe: Feliciano era in secondo piano, seduto dietro ad un piatto di pizza vuoto e ad un bicchiere di coca cola. Si vedeva che era più giovane di qualche anno, nella foto, mentre sorrideva all'obbiettivo. Era venuto con gli occhi un po' chiusi.
Luise sospirò, rimettendo a posto la foto. Sul muro, attaccate con lo skotch, ce n'erano altre due: una raffigurava lui, Lavinia ed Antonio al ristorante, nelle loro divise da lavoro. La sorella aveva la solita espressione incazzata, e lui il suo solito sorrisone un po' svampito.
Appena sopra, invece, c'era una foto di loro due davanti alla porta di Brandeburgo. Era un domenica autunnale e Feliciano aveva insistito perché Luise lo portasse a fare un giro turistico della città. Indossavano giacche leggere, nella foto – già, doveva essere appena ottobre, quando l'avevano scattata.
Luise arrossì nel notare che era venuta con la sua solita espressione da “io per un anno con questo non posso viverci”. Beh, Feliciano le aveva dato de filo da torcere, all'inizio, non poteva negarlo.
Gliene stava dando anche adesso, anche se in modo diverso.
Si buttò stesa sul letto, tirando fuori il cuscino da sotto il piumino, sprofondandovi il naso per assaporare l'odore di Feliciano di cui il tessuto era ancora pregno.
Se lo immaginò lì, accanto a lei, che le passava un braccio attorno alla vita e le posava il mento sulla spalla, guardandola con quell'espressione dolce ed affezionata che le dedicava spesso.
Luise arrossì, ben consapevole di dove quella fantasia l'avrebbe portata.
Arrossendo colpevolmente, si infilò sotto il piumino. Non erano certo le sue braccia, ma quel tepore e l'odore di lui che la avvolgevano morbidamente erano quanto di più realistico potesse concedersi per ora... e per sempre, per quanto ne sapeva.
Gli occhi chiusi mentre ispirava a fondo dalla federa, lasciò che la sua mano scivolasse sotto il suo ombelico e si infilasse sotto il morbido elastico dei pantaloni del pigiama.
Nell'orecchio, poteva quasi sentire la voce di Feliciano che le sussurrava qualcosa di dolce o di divertente, mentre le sue mani la accarezzavano dapprima piano, poi con insistenza.
Luise sospirò, mordendosi il labbro per reprimere il senso di colpa ed insieme aumentando la velocità delle sue dita.
L'abbraccio di Feliciano sarebbe stato caldo e morbido, la sua bocca l'avrebbe baciata senza sosta rubandole ogni gemito e le sue mani le avrebbero allargato le cosce lentamente, scivolando lungo il suo ventre e facendola rabbrividire di piacere. L'avrebbe stretta a sé e sarebbe entrato dentro di lei lentamente, baciandole il collo ed il petto e spingendo sempre più velocemente, finché...
Luise venne, il bacino leggermente inarcato all'insù e le dita dell'altra mano contratte attorno alle coperte, lasciando che i suoi polpastrelli indugiassero ancora per qualche istante attorno al clitoride, procurandosi lievi e deliziosi brividi.
Un momento dopo, se le ripulì in fretta sul cotone delle mutande, tirandosi su i pantaloni ed abbassandosi la maglia del pigiama.
Si era appena masturbata nel letto di Feliciano e, nonostante tutto il suo corpo gongolasse di piacere e sazietà, si sentiva un essere ignobile.
Lei e Feliciano non stavano assieme, né c'era nulla che le facesse credere che per lui lei fosse più di quello che era, ovvero la sua coinquilina. Un'amica, al più, forse.
Si rigirò nel letto, la testa affondata nel cuscino e il piumino ben avvolto attorno al corpo. Accanto a lei, continuava ad immaginarsi Feliciano, che adesso, era sicura, si sarebbe già bell'e addormentato.
La mente saldamente aggrappata a quel pensiero, seguì il suo amante immaginario nel mondo dei sogni.
11 marzo
Caro diario,l'aereo di Feliciano atterra domani pomeriggio alle cinque. Andrò a prenderlo.
Ho fatto una lunga lista della spesa, prima, e ho pianificato un menù per preparargli una cena di bentornato. Ho trovato un manuale di ricette e sono sicura che non sbaglierò, se le seguo passo passo.
In effetti, quando finalmente mise tutto in tavola, Luise si sentiva piuttosto orgogliosa dei risultati del pomeriggio passato in cucina. Va bene, forse non era all'altezza di un cuoco professionista come Feliciano, ma certo aveva dato il meglio di sé e, per una alle prime armi con la cucina, non se l'era cavata male.
L'italiano, però, non sembrava entusiasta. L'aveva abbracciata e baciata sulle guance, le aveva sorriso, aveva mangiato. Ma c'era qualcosa di smorto, nel suo atteggiamento, e Luise lo osservava con preoccupazione mentre giocherellava con gli avanzi di lasagna nel suo piatto.
“Ti è piaciuto?” chiese Luise, suonando più severa di quanto non intendesse.
“Eh?” lui sembrò cadere dalle nuvole “Oh, oh sì, certo. Era tutto ottimo!” rispose sorridendole.
Poi, calò di nuovo il silenzio.
“Allora...” ricominciò lei ad un certo punto, incerta. In tutti quei mesi passati insieme, non aveva mai sentito il peso del silenzio. “Dimmi un po' di tuo padre. Si sta rimprendendo?”
“Ah, sì sì. Insomma, sta meglio. Ci vorrà del tempo, però.” rispose, guardando da un'altra parte.
“Capisco.”
A sua volta, Luise stava giocherellando con l'insalata che si era servita, tesa. Dopo qualche istante, però, Feliciano riprese a parlare.
“Lavinia andrà a Roma tra due giorni, ma non può fermarsi per più di una paio di settimane... io credo che dovrò tornare giù, ecco. Papà ha bisogno di assistenza e mia madre non riesca a stargli dietro da sola. Non possiamo permetterci aiuto esterno e... insomma, il mio contratto al ristorante scade proprio a fine mese. Credo che rimarrò a Roma.”
Quando finalmente si decise a guardare Luise negli occhi, lo fece con aria affranta e colpevole.
Lei deglutì a vuoto.
“Io... credevo che saresti rimasto sicuramente per tutto un anno... fino a settembre, finché non ritornava Julchen.” disse lei, con voce piatta.
“Beh, il contratto mi sarebbe stato rinnovato, ma... giù hanno bisogno di me. Lavinia vive qui da quasi due anni, insieme ad Antonio, e credo che... sia giusto... che sia io a tornare, ecco.”
“Sì, certo, capisco.”
Già. Lavinia aveva un convivente ed un posto di lavoro fisso. Feliciano, invece, non aveva nulla di tutto questo.
“Se non riesci a trovare un altro coinquilino, posso pagare i mesi che rimangono, naturalmente...”
“Non credo sarà un problema, quello.” tagliò corto lei, voltandosi di lato.
“Oh, certo.” fece Feliciano debolmente, distogliendo lo sguardo a sua volta.
Tornò a sollevarlo dopo diversi secondi, e si ritrovò a fissare con sommo stupore gli occhi leggermente lucidi di Luise, che stava ancora fissando intensamente un punto inesistente sopra il lavandino.
“Ehi, ehi!” Feliciano si alzò in tutta fretta, andandole accanto. “Scusa.”
Le prese le mani, stringendogliele. “Mi dispiace, lo so che avrei dovuto parlartene prima, ma non è stata una decisione facile, sai. Non posso rimanere, però sono sicuro che troverai qualcun altro per la stanza, e...”
“No!” Luise si ritrasse con stizza, asciugandosi un accenno di lacrima col dorso della mano “No. Non è questo il problema, idiota. E' che...” tirò su col naso, le sopracciglia aggrottate mentre si imponeva di non scoppiare a piangere come una bambina. L'aveva aspettato con trepidazione per settimane e tutto quello di cui lui si preoccupava era il fatto di trovarsi un nuovo coinquilino?
Il groppo in gola, però, le impediva di parlare.
“Che?” insisté lui, vicino. Luise scosse la testa, incapace di esprimersi, e poi, improvvisamente, lo abbracciò, affondando il viso nel suo petto. La sua maglia era pregna dell'odore dell'aria sintetica degli aeroporti mischiata al sentore delicato del suo dopobarba.
No, non voleva che se andasse. Poteva resistere un anno con lui, poteva e voleva. Non era leale che lui la abbandonasse proprio adesso.
Feliciano si chinò su di lei, abbracciandola e cullandola leggermente, finché, ad un tratto, Luise lo sentì tirar su col naso.
“Ehi!” protestò tirandosi indietro “Non mettertici anche tu! Fa' l'uomo e non piangere!”
Feliciano la guardò con occhi lucidi.
“Eeeh? Ma come faccio? Tu... mi mancherai, Luise.” tirò su col naso un'altra volta, e Luise gli accarezzò una guancia, accompagnando il gesto ad uno sguardo severo. Non poteva mettersi a piangere anche lui, altrimenti...
Feliciano strofinò la guancia contro la sua mano, chiudendo gli occhi. Le prese il polso delicatamente, sovrapponendo le proprie dita alle sue. Quelle carezza era forse il gesto più tenero che Luise gli avesse mai dedicato in quei mesi, e Feliciano voleva goderne appieno.
Senza pensarci, le baciò delicatamente la mano.
L'attimo dopo, quella stessa mano era fermamente piazzata dietro alla sua nuca, e Luise lo aveva attirato a sé per baciarlo sulla bocca.
Il tragitto dalla cucina alla stanza di Luise era stato compiuto senza che nessuno dei due si fosse reso conto del come. Non c'era un soggiorno, nell'appartamento, e la cucina non era il luogo più adatto per baciarsi appassionatamente, soprattutto ora che ogni superficie libera era piena zeppa di stoviglie.
Seduti sul bordo del letto, le loro labbra e lingue non si davano tregua, e mentre le mani di Luise erano saldamente piazzate dietro la nuca e le spalle di Feliciano, quelle del ragazzo erano scese ad ispezionare la striscia di pelle compresa tra i pantaloni e la maglia della bionda.
Luise aveva rabbrividito un po', ma aveva lasciato fare; le dita di Feliciano sulla pelle, anche se erano una sensazione nuova, le procuravano una serie di piccoli, frizzanti brividi, e fu quasi delusa quando lui le ritirò – salvò poi deglutire nervosamente quando quelle mani ricomparvero sul suo stomaco e presero a salire verso il suo petto.
Feliciano le slacciò lentamente i bottoni della maglia, sfilandogliela dalle spalle mentre le baciava piano il collo, scostando col naso il tessuto del colletto. Le sue mani indugiarono appena sul suo seno, prima di sparire nuovamente sotto la dolcevita aderente che indossava, alzandogliela.
Luise deglutì di nuovo, ma lasciò fare, tremando appena quando le dita di Feliciano si insinuarono sotto le coppe del reggiseno per sfiorarle e massaggiarle i capezzoli ben eretti.
Piano, iniziò a spingerla giù verso il materasso, le labbra che adesso insistevano in un particolare punto della sua gola, deliziandola. Il corpo di Luise si distese docilmente sotto Feliciano, la schiena nuda rabbrividì appena al contatto con il cotone freddo, mentre le mani di lui prendevano completamente possesso dei suoi seni. Ci giocò per un po', ma poi ne abbandonò uno per lasciare che le dita andassero ad esplorare lo stomaco ed il ventre di Luise, continuando imperterrite il loro viaggio verso sud, senza lasciarsi intimidire dalla zip dei jeans e dalla biancheria sottostante. Curiosi, i suoi polpastrelli scesero nella peluria dell'inguine e si insinuarono gentilmente tra le sue labbra, calde ed umide. Lasciò che il dito indugiasse un po' a studiarne i contorni, mentre sollevava lo sguardo per osservare le reazioni di Luise, che sembrava essersi improvvisamente irrigidita.
“Feliciano...” fece lei con voce un po' rauca “Io... uhm... io non l'ho mai... insomma.”
Paonazza in viso, si voltò dall'altra parte. Feliciano la guardò sorpreso, e dopo quegli attimi che impiegò a realizzare cosa volesse dire, fu svelto a ritirare la mano.
“Oh, oh cielo, scusa!” Si tirò su in tutta fretta, sedendosi sul bordo del letto.
Luise si tirò su a sua volta. “...ma che fai?!”
Feliciano sembrava imbarazzato “Ero troppo preso a... sono andato troppo in fretta... mi dispiace.”
Lei lo guardò senza capire, sistemandosi la maglia per coprirsi il petto.
“Ma che dici?”
“Voglio dire... se non vuoi o... uhm...” diamine, come si faceva in quei casi? Feliciano era abbastanza sicuro di non essere mai andato a letto con una vergine “...se non ti senti pronta, ecco, non dobbiamo...”
“...Feliciano.”
Lui si voltò verso di lei, timoroso.
“Pensi che abbia paura?” Luise gli prese la mano, sistemandola nella zip aperta dei pantaloni. Nel farlo, il suo viso aveva probabilmente raggiunto nuove tonalità della scala cromatica, per quanto riguardava i rossi, ma alla ragazza non importava. Non si sentiva pronta? Aveva passato settimane a fantasticare su quel momento - anni, a dire il vero (anche se Feliciano si era aggiunto alle sue fantasia solo di recente) - e non sarebbe stata pronta?
Lui la osservò sorpreso, ma poi sorrise.
“Nossignora!” trillò, con un entusiasmo appena fuori luogo, e la baciò, spingendola nuovamente sotto di lui sul materasso.
Le sue mani iniziarono ad abbassare insieme slip e pantaloni, e Luise, dopo un attimo di sorpresa, si decise a dargli una mano. L'epidermide del suo ventre e delle sue gambe, esposta all'aria fredda, si coprì di un sottile pelle d'oca, ma Feliciano fu svelto a sollevare il piumino e ad infilare entrambi sotto le coperte, sfilandosi in fretta anche i propri pantaloni e la propria maglia.
Al caldo riparo della coperta, le sue mani scivolarono con entusiasmo lungo le natiche e cosce di Luise, lunghe e morbide. Risalì lungo la sua schiena, armeggiando per qualche lungo attimo prima di riuscire a slacciarle il reggiseno. Con pazienza, le fece allungare le braccia sopra la testa per sfilarle gli ultimi indumenti.
La baciò a fondo, mentre le sue mani ne accarezzavano tutto il corpo in lungo ed in largo, quasi incredule di averlo a disposizione, nudo, tutto per loro.
Mentre le sue dita tornavano ad esplorarle l'inguine, poteva avvertire la leggera tensione dei muscoli sotto la pelle. Rassicurante, Feliciano le riempì il viso di baci, mentre le dita della sua mano destra si strofinavano lentamente contro la sua carne umida.
Luise chiuse gli occhi, affidandosi alle mani di Feliciano e lasciandosi inebriare dall'odore dei suoi baci. Le sue dita scivolavano facilmente contro di lei, e dopo qualche attimo di timidezza Luise aggiustò il bacino, divaricando leggermente le gambe, lasciando che quei polpastrelli la toccassero dove voleva. Feliciano rispose succhiandole il collo ed aumentando la velocità, e Luise soffocò un gemito.
Pian piano, iniziò a muovere il bacino a ritmo con la mano di lui, e Feliciano affondò il viso nel suo seno, leccandole un capezzolo e torturandoglielo fino a che non riuscì a strapparle un singulto di piacere. La schiena inarcata, sotto di lui la ragazza era un fascio di muscoli irrigiditi, e Feliciano sapeva che, questa volta, non era per la timidezza. Eccitato ed estasiato dalla sensazione, avrebbe dato qualsiasi cosa per potere essere dentro di lei in quel momento, ma non avrebbe mai osato interromperne il piacere.
Le sue dita continuarono a muoversi spasmodicamente su e giù, fino a che non sentì Luise affondargli le unghie nel cuoi capelluto, trattenendo il respiro, per poi ripiombare improvvisamente sul materasso sotto di loro, senza fiato.
Feliciano la accarezzò ancora, più lentamente, finché lei non intervenne a bloccargli la mano. Lui la baciò dolcemente sulle labbra, stringendosela contro mentre riprendeva fiato.
Rimasero fermi per un po', i cuori che battevano forte uno contro l'altro. Se quello di Luise andava pian piano calmandosi, però, il petto di Feliciano ed il suo ventre, in particolare, stavano ribollendo di eccitazione e calore.
“Luise...” sussurrò appena, e lei si voltò a guardarlo con occhi semichiusi, appagati, le guance rosse di piacere. Non sapendo resistere a quella vista, la baciò ancora, a fondo, allungandosi sopra di lei, strofinando il suo inguine contro la coscia della ragazza, pieno di desiderio.
Quando si staccarono dal bacio, sembrava di nuovo imbarazzata. Con cautela, gli aveva accarezzato la schiena ed il sedere, ed ora, incerte, le sue mani stavano pian piano circumnavigando le sue anche. Sotto i boxer, Luise toccò improvvisamente la protuberanza dell'erezione, e serrò le labbra per la sorpresa, mentre a Feliciano sfuggiva un debole gemito di piacere.
“Feliciano... cosa devo... uh, fare...?” distolse lo sguardo, rossa fino alla punta del naso.
Il ragazzo, dal canto suo, cominciava a perdere la capacità di intendere e di volere.
“Quello che vuoi, tutto quello che vuoi.” le rispose onestamente, cercando di baciarla ancora, ma Luise si ritrasse.
“Ce l'hai un... un preservativo?” chiese incerta.
Feliciano sbatté le palpebre. Oh... oh. Quindi era un invito a...?
“Sì, direi di sì.” Ne aveva una scatola intera, nel cassetto del comodino.
Luise corrugò le sopracciglia. “Ah. E con chi pensavi di usarlo?”
Feliciano boccheggiò. “Ma... non lo so. Li avevo comprati tempo fa, non mi ricordo, li avevo presi se in caso...”
Luise lo guardò male. In caso cosa?
Tuttavia, nella situazione in cui erano, non le pareva il caso di andare per il sottile.
“Va bene, piantala e recuperali.” commentò secca.
L'altro scattò da sotto le coperte e si affrettò ad eseguire gli ordini.
Poco dopo, i boxer di Feliciano erano sul pavimento assieme all'involucro del preservativo, ed i due si ritrovavano più o meno incastrati al riparo del piumino, le gambe di Luise divaricate per lasciare spazio al bacino di Feliciano, che la osservava tentando di reprimere il desiderio.
“L-lo sai che farà un po' male, vero?”
“Sì, grazie, Feliciano, ho fatto educazione sessuale a scuola.”
“Ma ci sarà d-del sangue.. insomma, io non voglio farti male e...”
“Oh, ma dai, sangue. Che sorpresa.” commentò ironica, sopracciglia alzate. Come se non ci fosse abituata, ogni mese.
Feliciano quasi tremava. In realtà, la voleva con tutte le proprie forze; inoltre, sapeva che il suo amico, più in basso, stava per perdere la pazienza. Chinò la testa e la baciò, mentre le sue dita tornavano ad esplorarle il ventre, penetrandola appena e constatando come fosse ancora piacevolmente bagnata.
Quando a quelle dita ormai famigliari si sostituì la sensazione di qualcosa di più grosso, Luise tornò ad irrigidirsi. Feliciano le baciava il collo con dedizione, premendo appena, sussurrandole in tono implorante di rilassarsi e di lasciarlo entrare.
Luise chiuse gli occhi, inspirando profondamente, e Feliciano slittò avanti. Il dolore la colse all'improvviso, insieme alla sensazione che una parte di lei venisse lacerata, penetrata da mille aghi. Serrò i denti, aggrappandosi alle spalle di Feliciano, ma il dolore non durò molto a lungo. Con un sospiro, il ragazzo entrò completamente dentro di lei, tenendole stretti i fianchi.
“Fa molto male?” le chiese sottovoce, preoccupato.
“No.” rispose secca, ma accarezzandolo sulla guancia. Lui le sorrise, iniziando a spingere piano. I suoi buoni propositi non tennero per molto, tuttavia, e il ritmo aumentò subito dopo. Luise strinse le dita sul lenzuolo, sorpresa, incrociando le gambe sulla sua schiena.
Feliciano aveva il respiro corto, e sussurrava il suo nome come una richiesta d'aiuto mentre, sotto di loro, il letto tremava appena. Luise lo tenne stretto, baciandogli il collo e la mandibola, il corpo leggermente confuso da quello che stava accadendo. Non faceva più male, ormai, anzi, quell'avanti e indietro concitato stava iniziando a farsi piacevole; sospirò, tentando di afferrare la bocca di Feliciano per un bacio, ma senza riuscire a trattenerlo a lungo. Il ritmo delle sue spinte si faceva più intenso, e Luise osservava quasi con tenerezza i lineamenti del ragazzo trasfigurati dalla foga.
“Luis-” l'ennesima invocazione del suo nome, ad un tratto, venne interrotta da un gemito rauco. Feliciano penetrò in lei ancora una volta, in profondità, e poi rimase fermo, mentre Luise gli accarezzava piano la schiena ancora tremante di piacere.
Dopo qualche attimo, Feliciano si staccò da lei e le rotolò accanto, riprendendo fiato. La ragazza si voltò su un fianco per osservarlo e scostargli qualche ciocca di capelli dalla fronte. Lui le sorrise e, di nuovo, le baciò le dita.
“Sei bellissima.” le disse poi.
Luise sorrise timidamente, accavallando le proprie gambe con le sue, ma Feliciano sembrò ricordarsi di una cosa, e si alzò dal letto.
Preso un fazzoletto dal comodino della ragazza, si tolse il preservativo e si ripulì in fretta, gettando tutto nel cestino prima di tornare a coricarsi vicino a lei.
“Io, uhm, non sono durato molto, scusa.” borbottò imbarazzato, nascondendo il viso nel suo petto.
Luise arrossì, senza sapere cosa rispondere. Personalmente, non aveva idea di che cosa fosse “molto” o “poco”, in quel contesto.
“Questo non importa se... se ti è, insomma, piaciuto.” rispose timidamente.
“Eh? Ma certo!” le prese la testa tra le mani per baciarla sul naso. “E' stato fantastico. Io sono innamorato di te, Luise!” le disse tempestandole di baci la fronte.
Lei chiuse gli occhi sotto tutti quei baci, imbarazzata dalla dichiarazione.
“A-anch'io, Feliciano.” rispose, stupendosi quasi della facilità con cui era riuscita ad ammetterlo.
Lui sorrise, estasiato, e la baciò ancora, ma lei si ritrasse.
“Un tempismo pessimo per innamorarci, comunque.” sentenziò lei tetra, e lui poggiò la fronte contro la sua, sospirando un “lo so”.
Dopo un po' che stavano così abbracciati, Feliciano tornò a parlare.
“Ti ricordi quando ho buttato via gli spaghetti che avevi cucinato, quest'autunno?” chiese.
Luise annuì, sorridendo suo malgrado. E come avrebbe potuto dimenticarselo?
“Vedi, credo che fare l'amore ed innamorarsi sia un po' come cucinare gli spaghetti. Devi aspettare che l'acqua stia bollendo al punto giusto, e di aver aggiunto il sale. Solo allora li puoi buttare. Se li metti insieme all'acqua quando è ancora fredda, vien fuori solo una pappa molliccia.” disse, con il tono di chi stava impartendo una grande lezione di saggezza.
Luise sollevò un sopracciglio, non proprio convinta del paragone, ma poi ridacchiò. Se il giorno in cui le aveva buttato via la pasta Feliciano avesse provato anche a darle un bacio, Luise avrebbe probabilmente chiamato la polizia.
Si strinse a lui, e dopo poco tempo erano entrambi addormentati, cullati ciascuno dalle braccia dell'altro.
29 marzo
Caro diario,Feliciano è partito questa mattina.
La casa vuota non mi piace, ma dovrò farci l'abitudine.
E' strano pensare come nemmeno un anno fa detestassi l'idea di doverla condividere con qualcuno che non fosse mia sorella, come pensavo di non resistere per un anno intero al fianco di Feliciano.
Adesso, invece, sarei felice di farlo, e non solo per un anno...
Andrò a trovarlo durante le vacanze di Pasqua, che per fortuna cadono tra poche settimane, e sono già stata invitata a Roma per quest'estate.
Credo inoltre che al ristorante saranno felici di assumerlo di nuovo, quando suo padre starà meglio e lui potrà tornare a Berlino, e – inutile dirlo – io aspetterò con ansia quel momento. Sono pochi mesi rispetto agli anni che ho passato senza di lui e a quelli che programmo di passarci insieme.
Nel frattempo, sto diventando brava a cucinare, e i miei spaghetti ormai vengono sempre belli al dente. Sembrava facile, cucinare la pasta, ma ho come il sospetto che anche in cucina non basti unicamente attenersi ai manuali per riuscire ad eccellere nel risultato. Feliciano ha un tocco magico – in questa come in altre cose – e io non saprò mai eguagliarlo, ma i suoi pranzi mi mancano già.
Sono diventata schizzinosa rispetto ad un sacco di cose, da quando l'ho conosciuto, ma in particolare rispetto alla cottura degli spaghetti.
~*~
Tschüss: ciao
Verdammt: dannazione
Sprichst du Deutsch?: parli tedesco?
Nur ein bisschen: solo un po'
Willkommen in Deutschland: benvenuto in Germania
Nein. Nicht gut: no. male.
Ich mache gute Pasta, ja: Faccio pasta buona (Feliciano sta parlando male)
Verboten: proibito
Ich mache gute Pasta, ja? Sehr gut, okay? Bitte warten Sie!: faccio pasta buona, sì? Molto buona, okay? Per favore aspettate!
Scheisse: merda