lontano_lontano: (flufffff)
[personal profile] lontano_lontano
Titolo: Spegni quella candela
Fandom: Tsubasa reservoir Chronicle
Rating: verde
Genere: romantico, demenziale, fluff
Personaggi: Kurogane, Fay, Yuui (KuroXFay)
Summary: Voleva il suo sakè, e un posto dove stare tranquillo a gustarselo. Ma doveva prima arrivare alle cantine. E, possibilmente, senza farsi notare da Yuui… che sì, poteva davvero essere pericoloso, in quei momenti di tensione.
“Hyuuuuuu, Kurosama!!! Eccoti qui!” trillò qualcuno alle sue spalle.
…mai pericoloso quanto il fratello gemello, in ogni caso.

Conteggio parole: 2477 (Word)
Disclaimer: alle Clamp onori e oneri
Note: scritta per la quinta settimana del Fluffathlon su [livejournal.com profile] fanfic_italia - prompt: AU basata su una delle storie scritte per le settimane precedenti (storia scelta: Chissà come sarebbe stato... ♥). Varianti: tempo e luogo (con conseguente cambiamento dei mestieri svolti dai personaggi)
Commenti: shonen-ai, AU di un'AU, sostanzialmente, tendenze OoC (soprattutto per Yuui in versione zitellina cattiva)



C’era una volta, in un regno lontano lontano, un castello che si ergeva sulla cima di una collina.
Era in pietra scura, e il suo profilo austero, con le sue torri alte e dall’architettura severa, poteva intimidire il viandante che vi passava accanto.
Ma all’interno di quelle mura, nonostante l’apparenza, la vita scorreva in maniera tranquilla, e allegramente spensierata, alle volte.
Quella sera, in particolare, si teneva una banchetto per festeggiare l’inizio della stagione della caccia. Il salone principale del castello era occupato dai grandi tavoli di legno massiccio, e il vociare dei commensali si attenuava soltanto quando i servitori arrivavano carichi delle portate.
Giullari e musicisti si davano il loro bel daffare per mantenere il clima allegro, e tra brindisi improvvisi, qualche piatto che volava, e le risate scomposte di chi aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, il banchetto si era come sempre trasformato in un’allegra baraonda.

Un figura scivolò silenziosamente nelle ombre dei corridoi fino alle cucine, tentando forse di farsi passare per un cameriere.
A dire il vero, visto il suo aspetto e la sua stazza, non era proprio il tipo di persona che potesse davvero passare inosservata… ma era un guerriero, e aveva acquisito una certa abilità anche nel muoversi discretamente.
Aprì lentamente la porta di legno, entrando con fare circospetto.
Kurogane poteva anche essere il generale delle guardie, ma le cucine erano il campo di battaglia di qualcun altro, e sapeva bene di doversi muovere molto, molto cautamente.

Seminascosto alla vista dai vapori dei paioli e dei forni accesi, le maniche rimboccate e i capelli spettinati sulla fronte, il capocuoco si muoveva con foga su e giù per la stanza, gridando ordini a destra e a manca, come un generale nel bel mezzo di un combattimento decisivo.
Yuui era solitamente una persona molto calma, ma, in quei contesti, faceva un po’ paura perfino a Kurogane.
Questo si scostò per lasciar passare uno stuolo di camerieri talmente carichi da sembrare vassoi semoventi, e cercò di valutare come fosse meglio muoversi.
Doveva arrivare alle cantine e prendere il sakè. Non ne poteva più di tutti quei vini stucchevoli e delle chiacchiere inutili che era stato costretto a sorbirsi fino a quel momento. Voleva il suo sakè, e un posto dove stare tranquillo a gustarselo.
Ma doveva prima arrivare alle cantine. E, possibilmente, senza farsi notare da Yuui… che sì, poteva davvero essere pericoloso, in quei momenti di tensione.

“Hyuuuuuu, Kurosama!!! Eccoti qui!” trillò qualcuno alle sue spalle.
…mai pericoloso quanto il fratello gemello, in ogni caso.
“Taci, idiota!” sibilò Kurogane, guardandosi nervosamente intorno.
“Ahaha, pensavi che non ti avrei notato, mentre cercavi di sfuggire al pranzo?” ridacchiò Fay, con un sorriso ebete sulla faccia. Come da copione, aveva bevuto troppo. “Aaaaah…ma non va bene! Il mio fratellino si sta dedicando con così tanto amore alle portate, non puoi sparire proprio quando viene servita la selvaggina!”
Kurogane represse l’impulso di ucciderlo seduta stante (avrebbe fatto troppo rumore), tentando al contempo di diventare invisibile o perlomeno di confondersi con la parete alle sue spalle.
Fay ondeggiò un pochino, guardandosi intorno. Adocchiò immediatamente un servitore mingherlino che stava venendo dritto verso di loro – stava solo attraversando la cucina, a dire il vero, ma sfortunatamente loro erano sulla sua rotta – con una padella ricolma di quinquinelli ** fritti e ripieni di carne.
“Aww, non dovresti davvero fare questa scortesia al mio gemellino… toh! Assaggia questo!”
La mano di Fay, lesta, prelevò uno degli involtini dalla padella.
Ma aveva fatto male i suoi conti.
“Waaaah! Scottascottascotta!!!” strepitò, saltellando sul posto.
“Ehi! EHI! Non ci prova- ... CHE DIAMINE FAI?!?!” esclamò Kurogane, un momento prima che metà del ripieno e dell’unto dell’involtino finissero in planata sulla sua giubba elegante, aggiungendo un tocco artistico ai già elaborati ricami di cui era ricoperta.
“IDIOTA!” ruggì il soldato.
Fay sbarrò gli occhi, mentre il resto dell’involtino cadeva miseramente a terra, spargendo gocce di sugo sul pavimento.
“A-ehm.. mi.. mi dispiace…” tentò di giustificarsi.
Kurogane sembrava furente, ma non replicò. Fu un’altra voce a rispondere, invece, dietro di lui.
“Fay.”
Colto in flagrante, il suddetto si voltò timoroso verso il fratello. Negli occhi azzurri di Yuui era trattenuta a stento la rabbia. Stringeva tra le mani un grosso mestolo di metallo, e sembrava pronto ad usarlo.
“Pulisci. Subito. – elencò lentamente - Poi, scompari. E tu, anche.” Finì puntando un dito su Kurogane.
Prima che uno dei due potesse replicare, Yuui era tornato al timone della sua nave, gridando ordini a tutta la ciurma.

***

Era ormai notte inoltrata, quando Yuui, esausto, si chiuse alle spalle la porta delle stanze che condivideva col fratello.
“Hyuu, bentornato.” lo accolse Fay, con voce un po’ incerta. Stava seduto presso la finestra buia, alla luce fioca di una candela.
“Scusa per prima” aggiunse quasi subito, contrito.
“Ah, lascia stare.. sono a pezzi. Ma è andato tutto bene.” rispose il capocuoco, facendo un cenno con la mano come a voler scacciare il pensiero. “Uh.. che cos’hai lì?”
Si avvicinò al fratello, che tra le mani teneva la giubba sporca di Kurogane.
“Chi sporca, lava. – spiegò Fay con voce mesta – E i cocci sono suoi.” *
Yuui sospirò, crollando a sedere su una sedia di fronte a lui. Tra i ricami dorati della stoffa c’era l’alone scuro dell’unto, perfettamente visibile.
“Vedrai che si toglie… ci pensiamo domani mattina insieme, e poi dai, sei l’alchimista di corte, figurati se non riesci a togliere una macchia di sporco!”
Fay scosse la testa, sconsolato.
“Kurogane si è arrabbiato, oggi.”
“A dire il vero, lo fai innervosire ogni volta.”
“Ma adesso è arrabbiato sul serio... gli ho rovinato il vestito.”
“E’ un soldato. Non gliene importa niente del vestito! - Yuui sospirò - Beh, almeno hai imparato che flirtare in cucina col tuo capitano può causare guai.”
Fay chinò la testa, sconfortato. Yuui si allungò ad accarezzargli i capelli, ma il suo gesto non sembrò rallegrarlo.

***

Nei giorni seguenti, la preoccupazione di Yuui per il fratello non fece che aumentare.
Fay evitava Kurogane: non solo non andava più a tormentarlo mentre addestrava il giovane principe all’uso delle armi, ma scappava non appena lo incrociava sui corridoi o sulle scale. Non faceva “Hyuuu” che raramente, e senza la consueta allegria.
In compenso, parlava con la giubba di Kurogane.
Le dava il buon giorno, se la tirava in giro per la stanza, ci dormiva abbracciato. Se la accarezzava con aria mesta.
Era evidente che al posto suo il giovane vedeva la sagoma dell’aitante generale delle guardie. Con quello vero, non aveva più il coraggio di parlare perché era convinto che lo odiasse, e, di conseguenza, lo aveva sostituito con la sua maglia, nuovo oggetto di adorazione.
E la macchia non era sparita. Perché se fosse stata lavata, avrebbe dovuto poi restituirla al legittimo proprietario e privarsene.
Ogni tanto le lanciava anche qualche “hyuuu, Kurorin”.

Yuui guardava e scuoteva la testa, mentre la situazione sembrava peggiorare di giorno in giorno.

Finché una sera, al ritorno dalle cucine con una ciotola di zuppa calda per il fratello (era stata una giornata grigia e piovosa, e Fay se n’era rimasto rinchiuso nella sua stanza, malinconico, senza toccare cibo), non lo trovò accoccolato su una sedia davanti al camino, semisepolto dalla giubba del soldato. Ci aveva affondato il viso per un istante, inspirandone l’odore, e poi era tornato a fissare due occhi tristissimi sulle fiamme del fuoco.
Non si era nemmeno accorto che Yuui era entrato nella stanza.
Il capocuoco poggiò il vassoio sul tavolino con malagrazia, facendo sbattere la scodella ed in cucchiaio.
“Basta, non ne posso più di vederti in queste condizioni! Domani non azzardarti a rimanere qui a cincischiare tutta la giornata, hai capito?! Vai a farti un giro, vai… non lo so! Ma non puoi stare qui a rimuginare e a seppellirti sotto quell’indumento! Non lo sopporto!”
Fay gli rivolse uno sguardo perso, ed annuì senza convinzione, tornando a posare il capo sulle ginocchia coperte dalla maglia.

***

Fortunatamente, la mattina dell’indomani si presentò limpida, il sole che splendeva in un cielo terso ed azzurro.
Fay venne svegliato di buon’ora dal gemello, che lo costrinse a vestirsi e lo accompagnò con solerzia fino al cortile.
Non c’era nessun Kurogane, in vista, e Fay si avviò circospetto verso la porta principale delle mura, con l’intenzione di fare una passeggiata tra i campi. Come suggeriva Yuui, avrebbe potuto cercare qualche pianta per il suo erbario, e stavano anche finendo le scorte di foglie secche che gli servivano per i suoi unguenti.
Yuui lo accompagnò fin sotto l’arco del portone, dandogli una pacca di incoraggiamento sulle spalle, ed osservandolo allontanarsi lungo la strada.
Dopo un ultimo cenno di saluto della mano, si voltò e con passo deciso tornò al castello.

Fay camminò a lungo, seguendo i saliscendi e le curve improvvise dei viottoli di campagna, fermandosi a riposare all’ombra degli alberi, lasciando che il paesaggio e gli ultimi fiori dell’estate gli colmassero gli occhi e scacciassero parte della sua ansia e del suo dispiacere.
Era un povero, piccolo idiota che non aveva idea di come maneggiare i sentimenti.
Si guardò le dita affusolate e sottili, così precise ed esperte quando si trattava di lavorare e pestare le foglie secche, di mischiare gli ingredienti dosandoli minuziosamente, di adoperare i fragili alambicchi delle sue pozioni.
E poi, invece, così drammaticamente sbadate e goffe, quando dovevano toccare le persone… soprattutto quella che più di tutte monopolizzava i suoi sensi e la sua mente.
Perso nei suoi pensieri, lasciò che le gambe decidessero per lui la strada da seguire, e si dimenticò anche della ricerca delle piante per l’erbario.

Era ormai pomeriggio inoltrato, quando fece ritorno al castello.
Non si sentiva meglio – e, a dirla tutta, gli era mancata la giubba di Kurogane – ma il sole e l’aria gli avevano arrossato le guance pallide. Si sentiva stanco per la camminata, e se non altro aveva la quasi certezza che sarebbe riuscito a prendere sonno prima del solito, almeno quella sera.
Entrò nella sua stanza. Yuui non si vedeva, era sicuramente alle prese con la preparazione della cena.
Si trascinò fino al letto, con l’unica intenzione di lasciarcisi cadere sopra lungo disteso e riposare. Con quella maglia tra le braccia.

Ma la maglia non c’era.

Fay si guardò attorno perplesso. Eppure, era sicuro di averla lasciata lì, stesa sulla coperta… forse Yuui l’aveva piegata e riposta da qualche parte?
Aprì la cassapanca sotto la finestra, ma niente.
Cominciò ad agitarsi.
Controllò che non fosse su qualche appendiabiti, o su una delle sedie, sotto i cuscini… diede pure uno sguardo al caminetto – ma era evidente che non era stato più acceso dalla sera prima.
Improvvisamente si sentì la gola secca, mentre si torceva le mani per l’ansia.
Yuui...! Yuui doveva per forza saperne qualcosa.

Uscì in fretta dalla stanza, precipitandosi giù per le scale e i pianerottoli verso le cucine. Ma non trovò il fratello da nessuna parte.
L’ansia gli serrava la gola in una stretta insopportabile… possibile che... che...?

Sempre di corsa, si diresse verso il locale adibito a lavanderia. Era vuoto, in quel momento, e c’erano ovunque montagne di lenzuola impilate e di biancheria ancora da stirare.
Il sole stava tramontando, la luce che si affievoliva in fretta, lasciando che l’ombra inghiottisse la stanza.
Fay cercò di calmarsi, mentre con l’acciarino si dava da fare per accendere una candela. Le dita gli tremavano, e ci riuscii solo dopo diversi tentativi.
Con quella piccola luce in mano, iniziò la sua ricerca, passando in rivista tutte le stoffe piegate con cura e frugando fino allo sfinimento nelle pile di indumenti sporchi, alla ricerca della giubba di Kurogane.
Ma non c’era. Da nessuna parte.
Le tenebre inghiottirono la stanza e le silenziose mura del castello, mentre Fay si lasciava sfuggire un singhiozzo disperato.

La solita figura si ritrovò anche quella sera a svicolare lungo i corridoi tenebrosi.
Era alla ricerca di qualcuno; qualcuno che a cena non si era presentato, e che non era nemmeno nelle sue stanze.
Ne era alla ricerca perché il fratello di quel qualcuno, quel pomeriggio, gli si era presentato davanti con aria severa. In mano non aveva un pericoloso mestolo, ma la sua giubba sporca.
Aveva esordito con un discorso tutto serio, che c’entrava con lo smettere di comportarsi come ragazzini immaturi e con il fatto che soltanto Kurogane poteva risolvere la situazione.
Il comandante sbuffò per l’ennesima volta, quella sera. Che seccatura.
Finalmente raggiunse la lavanderia, e ne aprì la porta con decisione.
Quello che si ritrovò davanti era uno spettacolo abbastanza pietoso.
“Che stai facendo, idiota?”

Fay era seduto sul pavimento, in mezzo ad un variopinto paesaggio di colline e vallate di stoffa e biancheria dei tipi più diversi. Teneva in una mano un mozzicone di candela, acceso ancora per miracolo, si era tirato addosso un lenzuolo, fino a coprirsene la testa, usandolo per asciugarsi alcune lacrimucce che gli rigavano le guance.
Sollevò gli occhi disperati su Kurogane.
“Ho… credo di… sniff… non trovo più la tua giubba. Mi.. mi dispiace!” e scoppiò a piangere.
Kurogane si portò una mano alla faccia, massaggiandosi le tempie.
Perché, perché doveva essere così idiota…?
“Come accidenti fai a pensare che mi possa importare così tanto di un inutile vestito, eh? Tsk. E comunque la mia giubba ce l’ho io. Quindi, piantala.”
“Ma… sigh… come…?”
“Oh, me l’ha data tuo fratello. …e smettila!”
Kurogane si avvicinò, calpestando senza pietà indumenti un tempo puliti e stirati con cura.
Fay continuò a singhiozzare, nascondendosi nel lenzuolo.
Spazientito, Kurogane si inginocchiò accanto a lui, e gli scoprì il volto. Con un movimento un po’ rude, gli asciugò le lacrime ai lati degli occhi socchiusi.
Fay li aprì lentamente, guardandolo in viso.
La luce fioca della candela disegnò una miriade di riflessi dorati e cangianti nelle sue iridi azzurre, e per diversi, lunghissimi istanti Kurogane ne fu così rapito che dimenticò quasi di respirare.
Finché una piccola cascata di cera bollente (strabordata dal portacandele che Fay, distratto da quell’improvvisa vicinanza, aveva inavvertitamente inclinato) non gli si rovesciò sulla mano, facendolo sussultare.
“Diamine, spegni questa cosa! O finirai per incendiare tutto, qui dentro!” esclamò stizzito il soldato.
“Ah… uh… scusami…” Fay si affrettò a soffiare sulla candela, rendendo improvvisamente tutto buio.
“Ahah, Kurotan... non ci vedo più nu…” mentre sollevava la testa, le sue labbra impattarono su quelle di Kurogane, chino sopra di lui.
D’altrocanto, non c’era alcun bisogno di vedere, si rese conto Fay non appena la sua mente riuscii a formulare un pensiero coerente – e ci volle un po’, perché il contatto con la bocca dell’altro, che aveva preso stabile possesso della sua, totalizzava tutti i suoi sensi e la sua attenzione…
Sentire era più che sufficiente. Oh, sì.
Abbracciandosi e stringendosi l’uno all’altro con tenera impazienza, finirono lunghi distesi sul morbido giaciglio formato dai cumuli di lenzuola e indumenti.
Si sarebbero preoccupati più tardi di rimettere in ordine.








* = per saperne di più sui quinquinelli, guardate qui! Il nome era troppo grazioso per non metterli. Grazie a [livejournal.com profile] kuran_yuuki per la scoperta! ♥

** = ovviamente, il detto è “chi rompe, paga, e i cocci sono suoi.” La mia prof di greco&latino del liceo lo diceva spesso, e tra noi si era presa l’abitudine di aggiungere sempre “e i cocci sono suoi” alla fine dei proverbi. [/free nonsense talk]

Nota: sì, l'ambientazione medioevale non ha particolare senso. Deriva più che altro dal fatto che ho giocato a Domaine e ci sono dei graziosi castellini arroccati su colline da piazzare sulla tavola di gioco.

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