lontano_lontano: (Kurofay Yama)
[personal profile] lontano_lontano
Titolo: All'ombra del castello del cielo
(prologo e primo capitolo)
Parte: 1/8
Fandom: Tsubasa Reservoir Chronicle
Personaggi: Fay D Flourite, Kurogane, Ashura, Yasha-o
Rating: verde per i primi sette capitoli
Genere: fantasy, malinconico, introspettivo, angst
Riassunto: Che cosa hanno fatto Kurogane e Fay per sei mesi nel regno degli Yasha, combattendo ogni notte una battaglia che non era la loro, e aspettando con pazienza (?) il momento in cui avrebbero rivisto Shaoran, Sakura e Mokona?
E soprattutto, che viaggi mentali si sarà fatto Fay in tutto questo tempo visto che, a quanto pare, non conoscendo la lingua non parla con nessuno?!
"Non sapere la lingua è un’ottima ragione per non dover parlare. E non parlare è un sollievo, significa: niente più bugie, nessuna stupida frase di scusa da dover inventare sul momento..."
Note: what if...?

Pubblicati il 21.03.08 su EFP (prologo: link; capitolo I: link)




Prologo

Il sole splende alto nel cielo terso, è una bella giornata primaverile. Alcuni bambini giocano a nascondiglio nei vicoli della città. Le strade sono di terra battuta, e la polvere sollevata dalla corsa dei ragazzini si deposita sul bordo del mantello di Fay.
Il mago non ci fa caso. Sta cercando la stessa bancarella dove si è servito qualche giorno prima… ci mette un poco a riconoscerla, nel disordine della piazza del mercato, ma alla fine riesce a farsi largo tra la folla e a raggiungerlo.
Il venditore è un ometto di mezz’età, con le mani grosse e callose. Sorride quando vede Fay. Senza dubbio lo riconosce; d’altronde, non è facile vedere in giro qualcuno con i capelli biondi, da quelle parti.
Il mago ricambia il saluto, mente l’uomo gli parla. Fay annuisce, ma riesce a cogliere il significato di poche parole. Con un sorriso di scusa, fa cenno al mercante di non capire, e indica una ad una le cose che vuole acquistare, allungandogli poi un cestino dove metterle.
Fatta la spesa, ha qualche problema ad uscire dalla ressa, ma finalmente riesce a districarsene e a tornare verso casa.

Ormai è un mese che lui e Kurogane sono arrivati a Yama, il paese degli Yasha. Vivono in una piccola casa, nel quartiere dell’esercito, che si trova alla periferia della città.
Camminando, Fay esamina il cibo acquistato e annuisce soddisfatto, canticchiando tra sé e sé. Preparerà un buon pranzetto a Kuromyu. Come sempre, del resto. Anche se quel ninja burbero non sempre gradisce i suoi manicaretti… d’altronde, Fay non è nemmeno sicuro di sapere che cosa cucina, a volte… In ogni caso, è sempre tutto commestibile, pensa facendo spallucce.
E poi, è così difficile fare la spesa in un posto in cui non si capisce nemmeno una parola della lingua!

D’altrocanto, a Fay va bene così. Non vuole impararla. Non sapere la lingua è un’ottima ragione per non dover parlare. E non parlare è un sollievo, significa: niente più bugie, nessuna stupida frase di scusa da dover inventare sul momento.

Arrivato a casa, si chiude la porta alle spalle e poggia il cestino su un tavolo basso, di legno scuro. Comincia a canticchiare a voce alta. Non c’è nessuno, naturalmente; Kurogane dev’essere da qualche parte ad allenarsi con la sua spada.
La casa è piccola, a pianta circolare. Gli ambienti interni sono separati da tende di un tessuto strano, morbido e spesso, decorate da strani motivi esotici e dai colori caldi.
Fay appende il mantello ad un gancio vicino alla porta, sposta una delle tende e si ritrova in quella piccola stanza adibita a cucina.

Certo, non parlare significa anche avere più tempo per pensare tra sé e sé. E ricordare il passato. E pensare alle cose spiacevoli che accadranno in futuro…
Ma è abituato alla sola compagnia di se stesso, no? Non sarà un problema. E poi, è già passato un mese… presto, Mokona condurrà in quella dimensione anche Sakura e Shaoran, e il loro viaggio riprenderà! Sorride allegramente, tirando fuori un coltello ed alcune scodelle. Quella notte, come tutte le notti, combatteranno contro gli Ashura nel castello del cielo. Occorre preparare un pranzo nutriente!



Capitolo I

Hello darkness my old friend,
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
left it's seeds while I was sleeping




Fay osservava la strana sagoma del castello nel cielo. Con tutte quelle punte e quegli strani picchi, sembrava una stella nera, nera come la pece, che si stagliava sul blu e incombeva su di loro, lontana e leggera, ma sempre presente.
Chi conquistava il castello poteva esprimere un desiderio… e quel desiderio sarebbe stato esaudito…
…chissà se il suo desiderio…
A disagio, cambiò posizione sul basso sgabello dove sedeva. Meglio uccidere i pensieri fastidiosi prima che prendessero forma.
Una formica camminava sul legno del davanzale della finestra, e lui la soffiò via gentilmente. L’insetto atterrò da qualche parte nell’erba del prato.
Beata, piccola formichina… Fay socchiuse gli occhi, mentre gli saliva un improvviso nodo allo stomaco. Stava sorridendo, ovviamente, ma gli angoli della bocca gli si contrassero per il dolore, e nascose il viso tra le mani.
Non aveva diritto di pensare al suo desiderio… quel castello sarebbe conquistato da qualcun altro, e sarebbe stato qualcun altro a vedere realizzati i suoi sogni, qualcuno che era senza dubbio più meritevole di lui.

Era mattina… una delle tante mattine dopo una delle tante nottate passate nei combattimenti. Cominciava ad essere stanco.
Chinò la testa sul davanzale, tra le braccia. Quanto ancora sarebbero dovuti rimanere in quel mondo? Ormai dovevano essere quasi quattro mesi che stavano lì…
Il silenzio aveva cominciato a pesargli.
Kurogane aveva ormai rinunciato a parlargli, ma dai suoi sguardi si capiva che il discorso lasciato in sospeso a Shura per lui non era chiuso, tutt’altro. Quant’era… cocciuto! Pensò Fay stizzito.
E poi… aveva paura del suo sguardo indagatore. Cominciava a non sopportare più le occhiate storte che l’altro ogni tanto gli riservava. Cocciuto e indisponente, ecco! Ma anche lui sapeva essere testardo, e glielo avrebbe dimostrato!

Ma sì, come no… era stanco. Dove la trovava, ancora, la forza di sorridere? Era l’abitudine… ma gli faceva male il viso, ormai.
Tamburellò nervosamente le dita sul davanzale e ricacciò le lacrime che gli si erano affacciate agli occhi. Non poteva morire... non ancora... e lo sapeva. Ma non era nemmeno sicuro di poter vivere.

Vedere massacri ogni notte… Quanto ancora sarebbe dovuto durare? Dov’erano Mokona, Sakura e Shaoran?
Da un lato, a dire il vero, era meglio se non li avesse incontrati mai più… gli mancavano… e no, non voleva far loro del male. Questo non poteva permetterselo… non voleva permetterselo…

Non parlare era un sollievo, forse… significava non dover dire più nessuna bugia a parole, nessuna stupida frase di scusa da dover inventare sul momento. Certo, non parlare significava anche avere più tempo per pensare tra sé e sé. E ricordare il passato. E pensare alle cose spiacevoli che sarebbero potute accadere in futuro…
La notte era sempre il momento peggiore per i ricordi ed i pensieri tristi. Lo sapeva bene, eh, se lo sapeva. Ma aveva pensato di farcela, visto che la maggior parte della notte la passavano sempre combattendo.
Combattere era il miglior modo per non pensare. Il fisico reagiva d’istinto, le gambe erano impegnate a mantenere il corpo a cavallo del destriero che montava, le braccia erano tese, le mani stringevano l’arco e la freccia, pronte a scoccarla…
Nella mischia del combattimento, era facile sparire in mezzo al caos di spade e lance ed armature… bastava una distrazione, un piccolo sbaglio, un momento di stanchezza, e una lama di spada poteva trafiggerti da parte a parte. Quante volte le frecce nemiche gli erano sibilate a pochi centimetri da viso? Solo un attimo di deconcentrazione, e tutto sarebbe finito.

Senza speranza, senza speranza, senza speranza… Fay scosse la testa, la fronte sempre appoggiata sul legno. Sentiva il caldo del sole sui capelli, ma per lui, fuori da quella finestra, potevano esserci le tenebre notturne più profonde.
Ora non sorrideva più, ma stringeva i denti.
Un desiderio che voleva avverare… ma perché…? Voleva riavere indietro suo fratello, ma se fosse accaduto, che cosa mai avrebbe potuto dirgli? Che gli dispiaceva?

Tanti piccoli attimi di felicità, ad Oto… la principessa addormentata tra le sue braccia, Shaoran che gustava felice la colazione che aveva preparato, Kurogane che lo inseguiva a spada sguainata perché lo aveva chiamato “cagnone”… piccoli inganni che aveva giocato a se stesso. Non poteva essere felice, e lo sapeva bene. Non poteva essere sincero.
Le parole traevano in inganno… perché mai si era lasciato sfuggire quel “Ho atteso a lungo che qualcuno mi portasse via”, al Clover?
…qualcuno era arrivato… ma non l’aveva salvato… lo aveva catapultato in un inferno ancora peggiore… almeno, in quell’orrendo buco gelato c’erano solo lui ed i cadaveri. Il suo gemello era distante, la putrefazione in mezzo a cui era costretto a vivere lui non lo toccava.
Ma Ashura-o… in mezzo a quella distesa di neve, gli aveva dato una casa calda e una ragione per vivere, seppure temporanea… perché tutto era dovuto finire così? Ancora cadaveri, sangue che scorreva, e quel sangue era sulle mani di Ashura! Ne aveva intrisi i vestiti e gli occhi…
I cadaveri delle guardie del castello… i cadaveri dei soldati degli Yasha… i cadaveri degli abitanti di Valeria… sangue e ghiaccio…

“Ehi.”
Scattò in piedi, e per poco non rovesciò lo sgabello su cui era seduto.
Kurogane lo osservava scettico, a pochi passi da lui. Fay ci mise un momento per realizzare la situazione. Si era addormentato; la guancia gli doleva, là dove era rimasta appoggiata alla superficie dura del legno.
Si voltò verso la finestra, era mezzogiorno. Aveva dormito parecchio… si strofinò gli occhi e si massaggiò il viso arrossato e dolorante. Quando tolse le mani e tornò a fissare Kurogane, sulle sue labbra era ricomparso il consueto sorriso.
“Ero un po’ stanco, Kurosama” disse con qualche difficoltà. Aveva concesso a se stesso di pronunciare qualche parola in quella strana lingua, per esigenze di pura sopravvivenza.
Il ninja grugnì. “Me ne ero accorto. Ho preparato io il pranzo, stavolta.” rispose secco.
Fay non diede segno di aver capito, ma Kurogane non se ne preoccupò e lo precedette in cucina.
Il mago sospirò. Kurogane gli rivolgeva ancora qualche breve frase, ogni tanto. Forse pensava che capisse. Forse semplicemente non sopportava di avere davanti un idiota che non faceva che sorridere e dire “Ecco il pranzo, Kurotan! ♥ ”… beh, nemmeno lui avrebbe sopportato una cosa del genere, probabilmente.
Controvoglia, raggiunse l’altro. Non aveva fame, anzi, lo stomaco era contratto e dolorante. Come si detestava, in quel momento.
No, beh, non solo in quel momento.
Come si detestava.


Kurogane, seduto a gambe incrociate sulla piccola stuoia, mangiava in silenzio. Il mago, davanti a lui, piluccava contro voglia qualche pezzettino di cibo.
Il primo pensiero del ninja a quella vista fu di risentimento. Va bene, lui non era capace di cucinare cose strane ed elaborate come quell’altro scemo, ma comunque era tutta roba nutriente … e poi non faceva mica schifo!
Ma si trattenne. A dire il vero, il mago non mangiava mai granché, nemmeno quando era lui a cucinare e gli presentava tutto orgoglioso i suoi manicaretti. Ma in questi ultimi giorni, aveva praticamente smesso di nutrirsi. Il colorito del suo viso era anche più pallido del solito, e profonde occhiaie gli contornavano gli occhi.

Mago del cavolo… cosa stava combinando, stavolta? Cosa gli passava per la testa? Represse l’impulso improvviso che gli era venuto, di inchiodarlo alla parete, dargli due ceffoni e costringerlo a sputare il rospo. Tanto lo sapeva che era perfettamente in grado di capire la lingua, ormai. Ma si rifiutava di parlare e di ascoltare.
Tanto, anche se avesse parlato, avrebbe trovato il modo di svicolare… oh, ma ci sarebbe riuscito, prima o poi, a capire che cosa diamine stava nascondendo. Non appena quella polpettina bianca e orecchiuta li avesse raggiunti, gli avrebbe posto tutte le domande del caso.
Perché era impallidito a sentire il nome di Ashura, nel tempio di Shara?
Si ricordava bene la notte in cui, per la prima volta, erano scesi in campo contro l’esercito di Ashura… gli occhi neri del mago che vagavano ansiosi per il campo. Stava seduto sul suo cavallo con la sua solita posa rilassata e scomposta, ma le sue mani stringevano quelle redini un po’ troppo forte.
Poi l’aveva visto, tra le fila dei suoi combattenti, un giovane snello, dal volto femmineo e lunghissimi capelli corvini, ed improvvisamente quella stretta sulle redini si era allentata.

Il ninja sollevò lo sguardo dal suo piatto e vide che il mago aveva lasciato da parte il cibo, ed osservava pensoso il volo di alcune rondini fuori dalla finestra.
Uno sguardo assorto, candido.
Quando Kurogane gli aveva posto quel fatidico “perché?”, nel tempio, a Shara, aveva visto il sorriso dell’altro congelarsi, un’ombra improvvisa calare nei suoi occhi. Dietro a quel volto di marmo, aveva intuito la sua sorpresa, e per un attimo aveva addirittura pensato che volesse attaccarlo. L’aveva messo alle strette, quel giorno. Forse, non sarebbe riuscito a farlo di nuovo… ormai quello se lo aspettava. Era maledettamente furbo e testardo. Oh, ma anche Kurogane era uno che non mollava l’osso facilmente… e glielo avrebbe dimostrato. Poggiò rumorosamente il piatto sul tavolo.
Fay distolse lo sguardo dal cielo e constatò che l’altro aveva finito. Con un sorriso, raccolse le stoviglie e si avviò verso un catino d’acqua, dove lavarle. Nel passargli accanto, passò scherzosamente una mano tra i capelli ribelli del ninja, “Bravo, Kuorobaubau!” gli disse affettuosamente, probabilmente riferendosi al pranzo. Le sue dita erano fredde.

Il ninja osservò la schiena dell’altro intento a lavare i piatti. Una sfida semplice, chi dei due cedeva prima. Voleva proprio vedere fino a che punto sarebbe arrivato quel mago idiota.





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