lontano_lontano: (Hetalia Love)
[personal profile] lontano_lontano
Titolo: Guardie e ladri - episodio 2
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Matthew Williams (Canada), Francis Bonnefoy (Francia), Gilbert Weildschmidt (Prussia), Antonio Carriedo (Spagna), Yao Wang (Cina)
Rating: PG
Conteggio parole: 5197 (fdp)
Genere: avventura (romantico, eventualmente steampunk)
Avvertenze: AU, trama crudelmente piegata ai prompt dei vari challenge in cui mi cimento.
Riassunto: Antonio e Lovino non sono stati gli unici testimoni del contrabbando di merci alla baia, e Francis è determinato a scoprire chi possa esserne a conoscenza oltre a loro.
Note: partecipa alla seconda settimana del COWT2 @ [info]maridichallenge, prima missione, squadra Magic Sticks, prompt: ricatto.
Postata in tutta fretta senza nemmeno una rilettura (!!!) perché non c'è tempo e devo postare ora o non vale per il challenge. *si vergogna*


Erano passati appena un paio di giorni dall'increscioso episodio della baia, e Antonio aveva deciso che, dopotutto, avrebbe tranquillamente potuto costruirsi un nuovo carretto.
Francis, invece, era rimasto molto incuriosito dall'accaduto ed aveva deciso che tentare di vederci chiaro non sarebbe stato tempo sprecato, dopo tutto.
Così, con l'idea fissa di riuscire a racimolare qualche altro indizio su che cosa potesse bollire in pentola dalle parti del porto, aveva speso buona parte delle giornate gironzolando lì attorno, chiacchierando con le sue svariate conoscenze e guardandosi in giro. Si era spinto perfino all'interno del famoso emporio, con la banale scusa di cercare un regalo per una fidanzata, ma senza concludere nulla: Yao aveva capito ben presto che non era lì per comperare – che Francis fosse al verde, del resto, non era una sorpresa – ed il mancato cliente aveva fatto marcia indietro. Del resto, non voleva certo finire con l'impegnare qualcuna delle poche cose preziose rimastegli.

Tuttavia, fu proprio mentre usciva dal negozio che sentì il rumore che si era aspettato di udire: uno scatto meccanico, appena percepibile. Si voltò, per cercarne la fonte, ma la strada davanti all'entrata del negozio sembrava vuota.
Francis si strinse nelle spalle e proseguì, facendo finta di nulla. Un paio di vicoli dopo, però, svoltò per tornare indietro.
Gli ci volle un po' per riuscire a trovare quello che stava cercando – o meglio, chi stava cercando. La persona in questione era appollaiata sul bordo del tetto di un magazzino basso (era stato facile da raggiungere per Francis, era bastato scavalcare un paio di muretti e scalare una grondaia) ed era equipaggiata in maniera alquanto singolare: sulla schiena aveva qualcosa che sembrava una sorta di grosso zaino, un affare quadrato ricoperto di cuoio scuro e sommerso di cinghie e borchie. Da sopra si protendeva una bizzarra impalcatura di metallo e legno, che culminava in quello che, apparentemente, era un grosso ombrello bianco, ben alto sopra la testa dell'uomo. Questo era tutto intento a guardare davanti a sé in un marchingegno di legno che teneva con entrambe le mani – una macchina fotografica, naturalmente: Francis gongolò, contento di aver trovato esattamente quello che si aspettava.
Il fotografo era così concentrato in quello che stava facendo che, naturalmente, non si era affatto accorto dell'arrivo di Francis.
Del resto, il biondo sapeva muoversi silenzioso come un gatto, quando se ne presentava la necessità.
“Signore, ma che fate? Non sapete che non sta bene spiare gli altri in questo modo?”
L'altro sobbalzò, colto di sorpresa, e, nella posizione in cui era, la mossa improvvisa gli fece perdere l'equilibrio. Le mani ben strette sul prezioso marchingegno che stava utilizzando, per qualche secondo vacillò disperatamente sul bordo del tetto, rischiando di cadere di sotto, finché Francis non si affrettò ad afferrarlo per quella sorta di strano zaino che portava e a farlo atterrare sul sedere a qualche spanna dal baratro.
Il malcapitato si voltò titubante verso il suo aggressore/salvatore.
“Vi ringrazio, s-signore, non... oh! Francis!”
L'altro sbatté le palpebre un paio di volte prima di capire di chi si trattava. Nascosto da un cappello di velluto, da cui ricadevano sottili riccioli biondo scuro, e semicoperto da un paio di spessi occhialoni di pelle chiara, Francis infine riconobbe un viso che, in effetti, gli era noto.
“Santo cielo! Matthew! Ma che ci fate qui? E con tutto questa roba addosso?” fece Francis stupito, allungandogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Il giovanotto era rosso fino alla punta del naso. Francis sorrise, premurandosi di spazzolare via un po' di polvere dalla giacca di tweed che indossava.
“Mi dovete scusare se vi ho spaventato, ma non avrei mai e poi mai pensato di trovarvi qui a.. beh, fare quello che stavate facendo, qualsiasi cosa fosse. Del resto, non vi ho davvero riconosciuto.” si scusò l'uomo, ridacchiando appena.
L'altro aveva una tenuta spartana, in effetti, o così la giudicava Francis, considerando che sapeva che il ragazzo aveva un patrimonio non indifferente alle spalle. Chissà, forse aveva voluto travestirsi per dare meno nell'occhio nei bassifondi? Anche se tessuto e fattura non potevano ingannare l'occhio di Francis, che ne aveva subito riconosciuto il pregio. Se non altro, si disse mentre lo osservava armeggiare con la strana apparecchiatura che si portava appresso, apprezzava l'inventiva del ragazzo.
“Oh. Beh, certo, non preoccupatevi di questo...” disse lui affannandosi a ripiegare quella specie di strano ombrello e a riporlo nello zaino.
Francis lo osservò con un sopracciglio alzato. “Posso chiedervi che cosa stavate facendo? E... è la vostra attrezzatura fotografica, questa, mister Williams?”
Il ragazzo sembrò sorpreso di sentirselo domandare.
“Ah, sì! Sì, esatto! Ve ne avevo parlato, ricordate? La scorsa settimana, quando siete stato a prendere il tè da zio Arthur.” si affrettò a spiegare.
Francis non indugiò nemmeno un secondo. “Ma naturalmente! Abbiamo parlato della vostra passione, ed eravamo rimasti al fatto che mi avreste mostrato alcuni dei vostri scatti, non è così?”
Il viso di Matthew si illuminò tutto. Il ragazzo si liberò dei pesanti occhialoni per infilarne un paio di più sottili, dalla montatura leggera e quasi trasparente.
“Già! Ve lo ricordate, ne sono contento!” disse, sincero.
Francis annuì, contento. Aveva una gran buona memoria per le persone e per quello che raccontavano – amava ricordare i dettagli, perché sapeva che tutto sarebbe potuto tornare utile, in seguito.
“Comunque, sapete, anch'io ho fatto un po' di fatica a riconoscervi, all'inizio... sapete davvero come fare per passare inosservato, eh?” commentò Matthew candidamente, rimettendosi lo zaino sulle spalle.
Ah, ma certo.
Perché Matthew pensava che anche Francis, dopotutto, facesse parte dell'alta società. Cosa ci avrebbe fatto, altrimenti, in un salotto tanto rinomato come quello di zio Arthur?
“Eheh, ma naturalmente!” rispose lui con una risatina, ricordandosi solo in quel momento che l'ultima ed unica volta che Matthew l'aveva visto, Francis indossava il suo abito buono, con tanto di scarpe scure e lucide. Al momento, invece, aveva addosso una giacca con vistose toppe sui gomiti, dei pantaloni di velluto grigio e delle calzature che avevano visto giorni migliori. Forse poteva anche fare la sua figura, lì nelle vie del porto, ma certo non agli occhi di qualcuno come Matthew.


Ma poi, che requisiti occorreva avere per far parte di questa società dei piani alti? Arthur insisteva sempre che era una questione di sangue. Lord di qua, lord di là. Se non c'era il sangue, il nome potevi comprartelo con il denaro - anche se non era la stessa cosa, o così pareva.
Eppure Francis (che non aveva né una stirpe rinomata né denaro) sapeva come mischiarsi a loro senza troppi problemi. Aveva una buona educazione, il biondo, una cultura varia, tanto talento. E fascino, naturalmente, tanto fascino - quel tipo di fascino che faceva dimenticare alle signore che l'avevano visto per due volte di file indossare la stessa camicia o la stessa cravatta. Anche perché, come diceva sempre Francis, i bei vestiti servivano prevalentemente a farti arrivare in un luogo dove potessi levarteli.
Arthur disprezzava quel suo modo di pensare e non avrebbe mai accettato di vederselo arrivare in casa in una tenuta meno che dignitosa. Nessuno, se non era più che dignitoso, poteva ambire a frequentare il suo bel salotto per i tè pomeridiani – nessuno a parte Francis, forse, ma che lui non appartenesse alla categoria dei “più che dignitosi” era un segreto che Arthur preferiva non divulgare, nemmeno con i suoi stessi nipoti.


“Se voglio farmi raccontare storie dalla gente, devo mischiarmi a loro. Sanno esseri diffidenti, in questi quartieri.” rispose accarezzandosi la barba e incamminandosi verso il retro del tetto.
“Oh, certo! Siete qui per scrivere un articolo?” lo incalzò Matthew seguendolo.
Articolo? Oh, sì. Avevano parlato del fatto che era un giornalista, certo. Ma di quante cose aveva parlato a quel benedetto tè pomeridiano, si poteva sapere?
“Ah, sì, una specie.” Francis gli sorrise, scendendo agilmente giù per la grondaia ed offrendosi di aiutare l'altro nella discesa. “Sto tastando il terreno, diciamo.”
Matthew scosse la testa, imbarazzato per l'offerta, ma Francis lo resse comunque – e, forse proprio per questo, il ragazzo finì col mettere un piede in fallo e scivolare. Fortunatamente, l'altro lo stava già tenendo saldamente, e non caddero a terra.
“Oh, scusate...” mormorò il più giovane, mortificato.
“Ma di che! E poi, se cadeste finireste col rovinare tutto questo vostro impianto di... uhm.” commentò Francis, indicando lo zaino che l'altro aveva in spalla ma finendo col guardargli involontariamente il sedere.
“E' un apparecchiatura per l'illuminazione. Un flash, sì. Serve a illuminare l'ambiente per fare le fotografie... anche di notte, ecco.” si affrettò a spiegare l'altro, sempre imbarazzato. Francis gli sorrise.
“Ma certo. E vengono bene?”
“Beh... sì, abbastanza... in realtà non l'ho sperimentato molto.”
“Sarei davvero curioso di vedere i risultati di questa diavoleria. Non dev'essere una cosa che hanno in molti, non è così?”
Matthew scosse la testa. “E' un'apparecchiatura parecchio costosa, sì, ma vale tutto il denaro speso!”
Francis stava sorridendo. “Non stento a crederlo. Anche per questo, non credo che sia saggio, per voi, l'andarvene in giro tutto solo in questa zona portandovi appresso questa roba. Potreste far gola a qualcuno di non molto raccomandabile.”
Che poi, era esattamente ciò che stava accadendo, Francis ricordò a se stesso. Ma via, via, non era poi così pericoloso, lui. Specialmente non per il nipotino del suo caro Arthur.
“Avete ragione... sapete, proprio pochi giorni fa mio fratello è stato derubato al mercato! Si sono approfittati della sua generosità, pensate! Ha detto che erano due fruttivendoli... insospettabili, secondo lui.” continuò Matthew mentre Francis si tratteneva a stento dallo scoppiare in una fragorosa risata.
Insospettabili? In effetti, la faccina di Feliciano era la personificazione dell'insospettabilità. Quanto a Lovino, avrebbe detto il contrario... ma da quel poco che aveva potuto conoscerlo, Alfred non sembrava la persona più acuta del mondo, almeno in certi contesti.
“Davvero! Sono posti pericolosi, questi, sì.” annuì invece, improvvisamente serio “Perché non onorate la vostra promessa di mostrarmi i vostri scatti, invece? In ogni caso, sarà meglio allontanarci da qui.”
Matthew annuì, come un bimbo colto sul fatto da un genitore troppo buono per sgridarlo apertamente, e che preferisce tentarlo con la promessa di giochi più sicuri per distrarlo da quelli pericolosi.
“Non avevate del lavoro, qui?” chiese timidamente.
“No, no~ A dire il vero, ho finito proprio adesso.” rispose raggiante, sistemandosi una ciocca dietro l'orecchio. “E poi, sono davvero impaziente di vedere le vostre foto. Qualsiasi altra cosa può aspettare.”
Il ragazzo arrossì.
Mentre si allontanavano dal porto, Francis si curò di mantenere viva la conversazione. Un po' si sentiva in colpa; approfittarsi così di un ragazzo a modo come Matthew non era esattamente una cosa carina. Del resto, l'aveva avvertito: a girare per i bassifondi si incontrava della gente insospettabile, che, quando meno te l'aspettavi, sarebbe stata pronta a fregarti.


Per arrivare a casa di Matthew presero una carrozza (e a pagare fu il più giovane, un po' perché si considerava l'ospite della situazione, e un po' perché Francis non aveva insistito abbastanza per pagare lui – certo non aveva i soldi per permettersi una corsa, al momento, quindi aveva dovuto lasciar fare, per quanto il suo istinto di nobiluomo risentisse delle ristrettezze economiche a cui era costretto in quei casi).

La grande casa del duca di Kirkland era, per fortuna di Francis, vuota. Quando l'impeccabile maggiordomo venne ad accoglierli sulla porta di casa, dopo aver dato una frettolosa occhiata ai signori sulla soglia, li dismise con un secco: “Il signor Kirkland ed i signorino Jones non sono in casa.”
“Ma il signor Williams...” fece timidamente Matthew.
“Oh, già. Nemmeno il signorino Williams è in casa, al momento, spiacente.” fece l'uomo con aria condiscendente.
“No, Jacob, sono io. Io sono Matthew.”
Jacob strizzò gli occhi un paio di volte e si sistemò gli occhiali sul naso. A sua discolpa, bisogna notare come quegli occhiali fossero piuttosto spessi, in effetti.
“Oh, mi rincresce, signorino. Devo aver dimenticato gli abiti bizzarri con cui siete uscito, questa mattina.” rispose tentando di dare alla sua voce un tono dispiaciuto.
Mattew annuì condiscendente, mentre entrava in casa.
Il maggiordomo, tuttavia, sbarrava ancora la strada a Francis.
“E' il signor Bonnefoy, Jacob. So che sei abituato a vederlo in ben altre vesti, ma perdonaci questa piccola bizzarria di oggi, vuoi?” fece Matthew, mentre con un timido sorriso di scusa afferrava l'uomo per un braccio e lo trascinava in casa.
Il maggiordomo chiuse la porta borbottando. All'inizio, aveva pensato che quello tocco dei due fosse Alfred. A quanto pareva, invece, nemmeno Matthew sembrava averle tutte a posto, le rotelle.
In quella, il giovane ritornò indietro.
“Ah... Jacob... scusa per il disturbo, ma... potresti portarci un tè di sopra? Con comodo, ecco.” disse sottovoce.
Questa gente di campagna, pensò il maggiordomo impedendosi di roteare gli occhi. Un maggiordomo non faceva le cose con comodo, ma quando gli veniva detto di farle.
“Certo, signorino. Ve lo servirò appena sarà pronto.” rispose dimenticandosi di aggiungere un pizzico di gentilezza al suo tono funerario.
Matthew annuì velocemente e tornò a prendersi cura del suo ospite.


Anche per lui, il fatto che lo zio ed il fratello non fossero in casa era una fortuna: Arthur gli avrebbe fatto un sacco di storie a proposito delle visite non preannunciate, ed Alfred avrebbe voluto ficcare il naso in quello che facevano.
Matthew non mostrava le sue foto al fratello, di solito: era già successo che l'altro gliele rovinasse stropicciandole, o andasse a ficcare il naso nella stanza dove le sviluppava, mandando all'aria tutto il processo. No, preferiva decisamente tenerlo lontano dai risultati della sua attività.
Mentre guidava Francis lungo i corridoi e su per le scale, si chiese quanto sarebbe stato saggio mostrargli del suo lavoro.
Da un lato, era ansioso di fargli vedere le sue foto, poiché non capitava praticamente mai che le persone si interessassero al suo passatempo – a dire il vero, non capitava mai che le persone si interessassero a lui in generale. Perfino il maggiordomo di casa Kirkland si dimenticava di menzionare il fatto che lui non fosse in casa... anche perché, in effetti, a chi importava? Non riceveva mai visite, Matthew.
Dall'altro lato, invece, proprio il fatto che nessuno gli chiedesse mai di fargli vedere le sue foto lo metteva in imbarazzo. Gli sarebbero piaciute? Valeva la pena, poi, mostrarle? Ma Francis sembrava realmente interessato a vederle... chissà, forse perché era un giornalista.
Si guardò alle spalle, arrossendo leggermente, chiedendosi come mai l'altro fosse interessato. Francis, che stava camminando tranquillamente dietro di lui, osservando pigramente gli austeri interni di casa Kirkland, gli rivolse un sorriso.
O forse, pensò Matthew, era solo ansioso di tirarlo via dalla brutta zona in cui si era cacciato per portarlo in salvo a casa. Visto che era amico di Arthur, magari si era sentito responsabile per lui, che era suo nipote, magari era quel tipo di persona. Certo Matthew sarebbe rimasto molto meno stupito dal fatto che a qualcuno importasse di lui perché parente di Arthur, invece che perché era Matthew Williams: era venuto a patti a tanto tempo con questa verità, e non gli dava particolare fastidio.

“Eccoci. Zio Arthur è stato così gentile da mettere a mi disposizione parte della soffitta per sviluppare ed appendere le mie fotografie.” disse, mentre salivano una ripida scala di legno per poi passare attraverso una botola nel soffitto – che era, poi, il pavimento della soffitta.
“Generoso.” commentò Francis, mentre dentro di sé pensava proprio il contrario.
“Ah, ma è spaziosa, sapete?” Matthew armeggiò per aprire la botola. Improvvisamente, sentiva le mani tremargli leggermente. Inutile nasconderlo, l'idea di mostrare a qualcuno che conosceva appena il suo lavoro lo emozionava; non poteva non essere così, d'altronde. E però non poteva certo indugiare e tirarsi indietro proprio ora, sarebbe stata maleducazione.
Alla fine, fatto un bel sospiro, spalancò la botola e vi si infilò
“Ecco.” si spostò per fare spazio a Francis.
In effetti, la soffitta era più del semplice sottotetto polveroso che l'altro si era aspettato. Case di nobili, pensò Francis: le soffitte erano eleganti tanto quanto il salotto e l'atrio.
La cosa che abbelliva davvero l'ambiente, tuttavia, erano i vari fogli appesi alle pareti e tra di esse, stesi come panni ad asciugare su fili tesi tra le travi del soffitto.
“Ah, mi dispiace per la confusione... di solito non ci viene nessuno, qui, oltre a me, e quindi ci faccio poco caso.” si giustificò frettolosamente Matthew.
Ma Francis non badava al disordine, anzi. L'unica cosa che lo disturbava un po' era la mancanza di luce – c'erano degli abbaini da cui il sole filtrava generosamente, certo, ma le fotografie, così appese, si facevano ombra a vicenda, e questo non gli consentiva di guardarle bene come avrebbe voluto.
Matthew si torse le mani, aspettando che Francis dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, ma quello vagava lentamente nel dedalo di immagini, silenzioso ed assorto.
“Ah, uhm, non sentitevi obbligato a guardarle tutte! Se vi annoiano, intendo.” balbettò. Avrebbe quasi preferito che Francis smettesse di fissarle una per una come se vi scorgesse dentro chissà cosa.
“Come?” l'altro si voltò sorpreso, come se non avesse sentito cosa gli era stato detto. “Oh. Ma no. Amo prendermi il tempo necessario per gustare le cose che mi piacciono.” rispose tranquillamente, per poi ridere vedendo l'espressione di confuso imbarazzo tingere di rosso le guance del fotografo.
“Sono tutte dei bei lavori, davvero. Avete molta passione, mh?”
“Beh... sì...” occupato a strusciare le suole delle scarpe fissando il pavimento, Matthew non si accorse che Francis era andato avanti, sparendo dietro un parete di legno che divideva la soffitta in tanti spazi.
“Ah! Aspettate, aspettate!” Matthew si affrettò dietro di lui per fermarlo. “Quelle lì non sono.. non sono pronte, ecco.”
Francis fece capolino da dietro la parete. “Oh? D'accordo. E quelle?” chiese, indicando con candida curiosità una pila di stampe sistemante alla bell'e meglio sul pavimento.
“Quelle sono venute sfocate, sì. Davvero, dovete scusarmi per il disordine, vi prego di tornare da questa parte. In effetti, avrei preferito mostrarvele in un luogo più adatto, con una luce migliore e meno confusione attorno. La prossima volta mi assicurerò che sia così.” disse in fretta, osservando sollevato mentre Francis tornava a guardare le prime fotografie.

Si era completamente dimenticato che al di là del muro c'erano le fotografie di una serie particolare. In quel caso, era grato che nessuno si interessasse alle sue fotografie – si diede dello stupido, tuttavia: non avrebbe mai più dovuto dimenticarsi di chiuderle sottochiave, d'ora in poi.
Osservò l'altro mordendosi un labbro. Un paio di quelle foto gli stavano anche per costare care, pensò con un brivido mentre rammentava cosa era successo alla baia qualche notte prima. Avrebbe dovuto rendersi conto che il flash della fotografia non sarebbe sfuggito ai suoi soggetti, e che, per quanto fosse stato nascosto bene, quelli avrebbero anche potuto trovarlo... una vera (e gradita!) sorpresa, lo scoprire che non era il solo, quella notte, a spiare i movimenti loschi del cinese e dei suoi misteriosi contatti. Sperava che, chiunque fosse la persona che gli aveva involontariamente salvato la pelle, fosse riuscita a fuggire.
Per un attimo, si chiese se non fosse stato proprio Francis a spiare quel traffico di merci alla baia, sabato notte. Del resto, proprio oggi lo aveva visto uscire dall'emporio del cinese, vestito in maniera tale da mescolarsi alla gente del quartiere... lo guardò intensamente, mentre l'uomo continuava a passare da una foto all'altra, apparentemente con grande interesse.
Forse, a lui avrebbe potuto parlarne. Era un giornalista, in fondo, no? Lui avrebbe saputo cosa fare.
Eppure Matthew aveva un certo riserbo a divulgare quelle foto, finché non avesse avuto in mano qualcosa di decisivo – una foto dettagliata da poter portare al giornale e, perché no, guadagnarsi così la prima pagina di qualche testata.
In realtà, erano settimane che si aggirava saltuariamente nel quartiere del porto. Fino ad allora, nessuno l'aveva mai beccato: Matthew attribuiva la ragione di questa fortuna non tanto alla sua bravura con i travestimenti, ma al fatto che, come lo ignoravano le persone da cui era circondato normalmente, ugualmente lo ignoravano i ladri e i brutti ceffi che giravano nei bassifondi della città.
Per ora, comunque, non era riuscito a scattare nessuna fotografia davvero compromettente – anche se, doveva ammetterlo, non aveva idea di che cosa avrebbe potuto definirsi come tale... chissà, forse si aspettava di riuscire a cogliere un momento in cui, gongolanti, osservavano una cassetta piena d'oro e gioielli rubati? In ogni caso, questa sua piccola avventura lo eccitava, ma era costretto a tenerla per sé.
Se l'avesse detto a zio Arthur, quello l'avrebbe rinchiuso in casa, dicendo che erano affari della polizia, questi, e non di qualche nobilotto annoiato come lui. Se l'avesse detto ad Alfred... ah, i fratello avrebbe fatto di tutto per prendere le redini della situazione e “fare l'eroe”. Poteva già immaginarselo che lo seguiva nei suoi pazienti tour fotografici per poi saltare sulla preda e blaterargli qualcosa sulla giustizia, col solo effetto di farsi prendere a botte da qualche criminale.
Ma forse Francis, chissà...
Si schiarì la voce, deglutendo.
“Francis...”
L'altro si voltò, con un sorriso gentile. Davvero, sembrava così affabile e... pronto ad ascoltare. Interessato.
“Ecco, voi... insomma, voi per caso...”
Un bussare alla botola lo fece sobbalzare.
“Signorino Williams.”
“Oh. Oh!” Matthew si riebbe dallo sforzo di concentrazione in cui si era immerso per chiedere a Francis una cosa che gli sembrava sfacciata. “Deve essere il nostro tè, immagino.” disse chinandosi ad aprire al maggiordomo.
Ma, a dispetto delle sue previsioni, non comparve nessun vassoio con le tazze di tè.
“Signorino. C'è qualcuno sulla porta che chiede di voi. O meglio, sono venuti per il signor Kirkland, ma dicono di poter parlare anche con voi. Vi pregherei di seguirmi di sotto per accoglierli.” disse con una voce da oltretomba.
“Ma certo! Subito! Grazie, Jacob.” Matthew si voltò verso Francis.
“Temo che dovrò farvi aspettare un attimo. Nel frattempo venite con me, farvi aspettare da solo in questa soffitta mi pare poco adatto.” disse Matthew, mentre spariva giù per le scale.
Francis annuì. “Ma naturalmente.”
Una volta sul corridoio, si finse improvvisamente interessato alla serie di scuri ritratti di famiglia che facevano bella mostra di sé sulle pareti spartanamente arredate.
“Vi dispiace se io nel frattempo...?” chiese, indicando allusivamente alle opere.
Matthew fece tanto d'occhi. Sinceramente, riteneva quella serie di ritratti tra le più noiose mai esposte. Quel Francis aveva gusti strani, pensò... di conseguenza, forse il suo giudizio sulle fotografie non era poi così entusiasmante, dedusse con un certo abbattimento.
“Naturalmente, fate con comodo.” rispose comunque, affrettandosi giù per la scalinata principale, dietro al maggiordomo (che, a sua volta, stava guardando Francis con uno sguardo sospettoso. In tutti quegli anni passati in servizio in quella casa, nemmeno i membri della famiglia Kirkland avevano mai mostrato grande interesse per quei ritratti, figuriamoci gli ospiti!)

Francis attese che entrambi fossero scesi di sotto, e poi dedicò una smorfia di scherno a tutti quei sopracciglioni dei Kirkland che lo osservavano dalla parete. L'aria simpatica e affabile, pensò, era proprio un dono di famiglia! Non era un caso che i giovani Matthew ed Alfred non portassero quel cognome, fortunatamente per loro.

Detto questo, fu lesto a tornare alla scala di legno e a sgattaiolare di nuovo in soffitta.
Dietro la parete in fondo alla stanza aveva visto proprio ciò che si era aspettato di trovare: le foto della baia in versione notturna, più una serie di tante altre immagini tutte dedicate al banco dei pegni ed al suo proprietario orientale. A giudicare dal numero di scatti, Matthew si stava dedicando a seguirlo da un bel po' di tempo.
In fretta, Francis tornò a guardare la pila degli scarti. Matthew era un tipo schizzinoso, pensò con un mezzo sorriso, mentre constatava che molte delle fotografie in quella montagnola non erano poi così sfocate o non lo erano affatto.
Però, beh, pensò Francis mentre se ne infilava qualcuna sotto la giacca, se le aveva messe lì significava che non le voleva più, giusto?
Silenzioso, scivolò di nuovo fuori dalla soffitta. Era decisamente ora di togliere il disturbo.

Quando, una mezz'ora più tardi, gli ospiti se ne andarono, Matthew uscì dal salotto dove li aveva ricevuti (ancora in giacca da straccione, per giunta! Zio Arthur lo avrebbe ucciso, se l'avesse scoperto...) con la speranza di riuscire a riprendere l'argomento lasciato in sospeso con Francis. Ma, con suo grande stupore e dispiacere, l'ospite era sparito.
“Aveva un impegno. Le lascia i suoi più cordiali saluti.” disse Jacob, tombale.
Matthew ci rimase un po' male, ma, in fondo, si sentì quasi sollevato. Chissà, per la prossima volta avrebbe avuto qualcosa di più da mostrare a Francis, che non qualche foto di cassette di merci e qualche sospetto magari campato per aria.

~*~

Era ormai notte e le strade del porto erano deserte e silenziose. Unico rumore improvviso nella quiete, ad un tratto, fu il cigolio di una porta secondaria.
Yao, il cinese proprietario dell'emporio, stava lasciando solo ora il suo negozio. Alla luce della lanterna che teneva in mano, si dedicò a sistemare il catenaccio sulla porta, facendo il minor rumore possibile nella notte. Improvvisamente, però, fu consapevole di non essere più solo nella strada vuota.
Si voltò lentamente, un pugnale che compariva nella sua mano ancora prima che si ritrovasse ad affrontare l'avversario. Tuttavia, quando finalmente si ritrovò faccia a faccia con lui, scoprì che l'altro aveva già una lama sguainata, la punta ad un soffio dal suo ventre.
“Non sono venuto per due chiacchiere amichevoli, occhi a mandorla.” sussurrò dolcemente. Aveva il volto coperto da un cappuccio, ma si notava un ampio ghigno sulle labbra. “Perché non entriamo, così possiamo parlarne in privato, mh?” invitò, la lama che spingeva Yao di nuovo sulla soglia del negozio.
L'altro serrò i denti. “Lascia che arrivino i miei uomini e...”
“Kesesesese, non tentare di fare il furbo con me. Ti ho osservato, sai? So che non è rimasto più nessuno, oltre a te. Dai, entriamo e mettiamoci comodi.”
A quel punto, Yao non ebbe altro da fare se non ubbidire prontamente alla richiesta del suo assalitore.

L'interno dell'emporio era buio e i due avanzarono cautamente fino al grande tavolo che c'era in un angolo, zeppo di carte e altri innumerevoli oggetti.
“Mettiti comodo, occhi a mandorla. Abbiamo un paio di cose di cui parlare.”
Il mercante si sedette al suo solito posto (un'ampia poltrona rivestita di seta variopinta) e fece per incrociare le braccia sul petto.
“Ah-ah, niente scherzi.” decretò l'incappucciato, la lama che balzava in avanti a bloccare qualsiasi movimento dell'altro “Togliti quella casacca e metti sulla scrivania tutti i pugnali che hai in quelle maniche, amico.”
Yao sbuffò, ma di fronte alla minaccia del coltello dell'altro, di nuovo, non ebbe altra opzione se non quella di ubbidire. Si sfilò la lunga casacca di seta rossa che indossava, e sul ripiano del tavolo comparvero più di una decina di sottili lame aguzze.
“Bene, cominciamo a ragionare.” rispose l'altro con un ghigno. “Ora, se non ti dispiace...”
Si mise a frugarsi nelle tasche, finché non ne estrasse una busta di carta.
“Che mi dici di questa, eh?” fece, allungandogliela dall'altra parte della scrivania sulla punta del coltello.
Yao la prese, guardingo, e ne estrasse il contenuto con fare attento. Le sue sopracciglia scure si incresparono leggermente, quando videro la fotografia, ma riuscì a mantenere un'espressione tranquilla.
“Che loschi affari tramate qui, con il resto della tua famiglia, eh?” lo incitò l'altro.
“Per vostra informazione, signore, siamo mercanti. Di affari ne trattiamo tanti, aru, e nessuno di losco.”
“Mmh... niente di losco, ma davvero.”
Con la punta del pugnale, l'uomo incappucciato rigirò la foto in modo da poterla guardare nel verso giusto. “Tutta questa gentaglia col volto coperto, in questa foto... queste casse che non si sa che cosa contengano... questi sacchetti di denaro... e, oh, qui hai proprio l'aria di chi non vuol farsi beccare, eh? Sai, ho l'impressione che se andassi alla polizia a raccontare del fatto che ogni tanto, la notte, hai l'abitudine di incontrarti con certi tuoi amichetti fuori dal porto... beh... non lo so, ma ho l'impressione che non dovrei faticare molto per convincerli a venire a dare una controllatina di persona, qui al negozio. Sai, adorano le retate nei bassifondi, loro, e credo proprio che si divertirebbero un bel po' a mettere a soqquadro questo posto.”
Il cinese lo ascoltava impassibile, le labbra appena tirate.
“Questa foto non prova niente.”
“Oh, forse no. Ma credo davvero che se la polizia venisse qui, le prove di tutti i tuoi commerci clandestini saprebbe trovarsela da sola, che dici?”
“Potrei chiamare a raccolta i miei o farvi fuori seduta stante, signore, e questa foto finirebbe bruciata e dimenticata... insieme alla vostra vita molesta, aru.” sibilò di rimando.
L'altro rise sguaiatamente.
“Mi piace, mi piace! Peccato che questa non sia l'unica che foto che ho, ovviamente. Sarei un idiota, altrimenti, a dartela in mano così, non credi?” L'incappucciato si sporse improvvisamente verso Yao, così che l'altro potesse scorgere due occhi color sangue brillare di eccitazione sotto l'ombra del cappuccio.
“Ma sai, non sono un idiota, purtroppo per te, e qui fuori ho ancora un bel po' di foto che ti aspettano, se vorrai collaborare.”
Le labbra di Yao divennero bianche dalla tensione.
“Che cosa volete per il vostro silenzio? Soldi?” indagò. Odiava cedere ai ricatti, ma, da bravo mercante, sapeva che scendere a compromessi con il cliente, ogni tanto, non era un'opzione da scartare.
Il sorriso sulle labbra pallide dell'incappucciato si rilassò.
“Kesesesese! Così ragioniamo. No, comunque, niente di così banale. A dire il vero, sono venuto a fare spese, sai?”
L'altro inarcò un sopracciglio.
“Sì, ci sono un po' di oggetti qui dentro che mi piacciono un sacco. Oh, e voglio un carrello per i miei acquisti. Un carrello speciale, intendo... un carretto, ecco. Una piccola meraviglia della falegnameria, se posso permettermi.”
Yao lo guardò senza capire, ma l'altro sembrava proprio se la stesse godendo un mondo.

~*~

“Gilbert, quelle foto mi servivano.”
“Francis, che palle. Hai detto che il ragazzino ricco ne aveva parecchie, no? Che vuoi che sia per un paio in meno!”
“Gilbert. Adesso che Yao sa che qualcuno lo osserva, potrebbe scoprirlo.”
“Francis, Yao non pensa che si tratti di un ragazzotto dell'alta società. Pensa che si tratti della bravata di un pazzo psicopatico che, per una sera, aveva alzato troppo il gomito. Il tuo pupillo non corre rischi, fidati.”
Il biondo sospirò, appoggiandosi pesantemente allo schienale della sedia.
Sul divano di fronte al camino, Antonio era entusiasta.
“Ha recuperato la mia chitarra, Francis! La mia chitarra buona, quella con gli intarsi di madreperla! Non sarei mai riuscito a riscattarla, altrimenti... ma ci pensate?! La mia chitarra!” ripeteva il moro, abbracciando lo strumento come un figlio che non rivedeva da anni. Quante volte si era pentito di averla impegnata, quante volte, di nascosto, era passato al banco dei pegni per sbirciarla e vederla ancora lì, in un angolo, coperta di polvere ed irraggiungibile.
“E il tuo carretto, Antonio, eh?” rimarcò Gilbert, versandosi una generosa dose del liquore speziato che faceva a sua volta parte del lauto bottino.
L'amico gli rivolse uno sguardo colmo di felicità.
Francis non poté trattenersi dal ridacchiare.
“Beh, in ogni caso ero determinato a parlare col ragazzo e a dirgli che era il caso che la smettesse di giocare al detective fotografo.” disse stringendosi nelle spalle.


Nel frattempo, anche Matthew pensava a Francis. Più ci pensava, più si sentiva in dovere di raccontargli delle sue scoperte.
Non era per le scoperte in sé – in fondo, a lui che importava di quello che facevano quei cinesi, giù al porto? No. Era che... beh, era che forse, per una volta, avrebbe trovato qualcuno disposto ad ascoltarlo.
La fotografia gli aveva sempre permesso di osservare da lontano, di catturare immagini e storie senza prendervi parte, rimanendo distaccato, dietro l'obbiettivo. Non raccontava né più né meno di quello che l'immagine mostrava, e questo gli era facile. Un'immagine era sempre la stessa, che ci fosse qualcuno o meno a guardarla. Per le persone era diverso: ci voleva qualcuno che stesse ad ascoltarle, se volevano raccontare la loro storia.
Si chiese se, per una volta, forse, non avesse trovato il paio di orecchie disposte ad udire almeno un pezzettino della sua.


(Ep. 01// ep. 03)

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